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Il sindacalista comunista Vito Pipitone, trucidato dalla mafia degli agrari

by Rosario Sorace

Vito Pipitone, segretario della Camera del Lavoro di Marsala, fu trucidato dalla mafia e lottò sacrificando la sua vita affinché ai lavoratori fossero garantiti un giusto stipendio, una pensione, giornate lavorative non oltre le otto ore.

Pipitone godeva di grande stima, apprezzamento e ampio consenso a Marsala, aveva un seguito popolare pericoloso per gli interessi mafiosi e proprio per il fatto di essere irriducibile nella determinazione nel coraggio fu ucciso dal fuoco mafioso il 9 Novembre 1947.

Ogni anno si rinnova il ricordo di Vito Pipitone nel luogo in campagna dove avvenne l’omicidio del sindacalista di Federterre che, mentre tornava con la sua bicicletta a casa, pagò il prezzo più alto per il suo impegno a favore dei braccianti agricoli.

Vito aveva solo 39 anni, era un comunista, intriso di forti passioni ideali, padre di quattro figli, fece la stessa fine di tanti dirigenti sindacali, politici e amministratori che si batterono per la legalità e per sostenere l’applicazione in Sicilia della nuova legislazione in materia di agricoltura varata dal governo nazionale e dal ministro Fausto Gullo.

Queste nuove norme trovarono una ferma opposizione dagli agrari e dai “signorotti” dell’epoca, che spalleggiati sul piano militare dalla mafia, non esitarono ad uccidere i più strenui e valorosi dirigenti del sindacato che aspiravano ad un realtà sociale in cui fossero difesi i diritti dei lavoratori.

Nel 2010 è stata realizzata una stele alla memoria di Vito Pipitone, realizzata due anni fa grazie all’artigiano locale Vito Giacalone che, per tenere viva la memoria, si recarono sul posto oltre le autorità locali, alcune scolaresche, rappresentanti del mondo associativo e sindacale e una delegazione dell’amministrazione comunale, deponendo una corona di fiori ai piedi del monumento. Si è proposto anche di dedicare una piazza all’insigne cittadino di Marsala.

Vito era un dirigente dotato di intraprendenza e coraggio, vice segretario della Confederterra di Marsala, fu il principale agitatore delle proteste dei braccianti e dei contadini nonché tenace animatore dell’occupazione per la concessione delle terre incolte che si batté senza tregua per l’applicazione della riforma agraria.

Fu ucciso per fermare la sua azione incisiva e travolgente che prevedeva l’occupazione e l’assegnazione ai mezzadri di alcuni lotti del feudo il “Giudeo” nel territorio di Salemi.

L’assassinio di Pipitone fu il diciannovesimo delitto consumato dalla reazione furibonda e violenta degli agrari in Sicilia, nel tentativo disperato di frantumare il movimento contadino.

In quel momento si registrò una totale assenza dell’azione politica delle istituzioni sia di governo che del ministro dell’Interno Mario Scelba, insieme al presidente della regione Alessi.

Nelle dure polemiche politiche che seguirono all’omicidio, entrambi furono anche accusati di essere i mandanti morali di quei delitti.

Pipitone era nato nel 1908 e proveniva da una famiglia contadina, aveva vissuto gli eventi tragici dell’Italia, da bambino la prima guerra mondiale, poi, da adolescente e nella prima gioventù il fascismo.

Divenuto adulto e padre di famiglia visse il secondo conflitto mondiale e la successiva guerra di liberazione, la nascita della democrazia e l’adozione della Costituzione repubblicana in cui il diritto al lavoro e le libertà fondamentali erano posti al centro della suprema carta.

Pipitone ebbe fede nell’idea di legare il suo impegno sociale a queste norme della carta costituzionale ed era un cittadino cosciente che, specie nel Sud e nella Sicilia, sapeva bene che questi diritti erano negati e che queste libertà erano lontani dell’essere difese e protette.

Quindi assunse la consapevolezza che, per affermare il riscatto e la conquista dei diritti sociali, non era sufficiente sfidare la miseria del primo dopoguerra ma altresì era necessario battersi con tutte le energie contro il potere e i privilegi dei grandi proprietari terrieri e agrari sostenuti dal potere di intimidazione della mafia.

Vito divenne capo lega della Confederterra e comprese, come Placido Rizzotto, Salvatore Carnevale, Accursio Miraglia, anche loro uccisi dai killer mafiosi, che bisognava scegliere da che parte stare iscrivendosi al sindacato e divenendo organizzatori capaci di fronteggiare lo strapotere dei latifondisti facendo rispettare le leggi di riforma agraria che c’erano e che stavano per essere approvate dal nuovo Parlamento.

Vito cadde sotto il piombo della mafia e aiutò i braccianti, gli operai e i contadini, che saranno sempre grati e riconoscenti a uomini come lui, ad aprire un solco lungo la strada della cooperazione, della costituzione delle leghe, strutture indispensabili durante il tempo della riforma agraria e le occupazioni delle terre.

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