Ancora mezze verità sulla strage in cui morirono Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta. Solo fiumi di parole, post di fuoco sui social, un infinito effluvio di retorica ma dopo 30 anni non è stata fatta piena luce.
Due giudici uccisi con modalità quasi sconosciute per i delitti di mafia, anzi gli attentati dinamitardi sono stati utilizzati in pochi casi.
Nel luglio del 1983 rimase vittima di attentato dinamitardo il giudice Rocco Chinnici. L’impressione che si ricava è che gli anni passano e la verità si allontana sfumando dietro i file top secret.
Ricordiamo brevemente dall’immenso archivio delle inchieste giudiziarie: in via Mariano D’Amelio non c’era nessuna sicurezza e le macchine non erano mai state sgombrate, non era stata adottata l’isola pedonale.
Il ministro Martelli, dopo la strage in Prefettura, si scatena contro chi di dovere per tale grave omissione, grida forte contro Prefetto e Questore chiedendo conto e ragione di tale inadempienza.
Subito dopo, mentre dopo il tremendo botto tutto bruciava, avviene un incontrollato andirivieni di persone, gente comune, nessuno provvede a chiudere la via per consentire agli inquirenti il sopralluogo e le prime indagini.
Nessuno ancora oggi sa o, meglio, non si vogliono sapere i nomi degli uomini dello Stato, elegantemente vestiti allo stesso modo in giacca e cravatta, nonostante il caldo torrido, che si aggiravano con totale indifferenza accanto ai pezzi di corpi smembrati per cercare qualcosa.
Probabilmente si cerca di prelevare la borsa del giudice che contiene un’agenda rossa, “prezioso” reperto da fare scomparire senza indugi al più presto.
Subito dopo la strage di Capaci, Paolo Borsellino, aveva chiesto di essere sentito in qualità di testimone dai colleghi di Caltanissetta che indagavano sulla morte di Falcone e attese invano di essere convocato.
Ancora oggi questa rappresenta una gravissima e forse dolosa omissione. Dopo anni di depistaggi, per non far risalire ai veri responsabili con la costruzione del “pupo” Scarantino che fa condannare degli innocenti, il pentito Spatuzza fa sapere che a organizzare la strage sono la famiglia mafiosa dei Graviano.
Per anni si è cercato di capire chi ha ordito la strage oltre gli esecutori materiali (mafioso e cupola di Cosa nostra).
Le motivazioni per l’accelerazione della condanna a morte di Paolo Borsellino possono essere molteplici. Gli interrogativi sulla via della verità restano aperti. Forse la sua fine è dovuta al dossier mafia e appalti in mano ai Ros? Oppure il giudice era venuto a conoscenza di una trattativa tra lo Stato e la mafia e intendeva opporsi? O Borsellino aveva cominciato a scoprire che dietro le stragi c’erano cointeressenze estere con l’ausilio logistico di massoneria deviata e estremisti di destra? E infine, si intende sapere se ci sono, o chi sono eventuali mandanti esterni.
Ora abbiamo avuto una sequela di assoluzioni giudiziarie e l’impressione che si ricava è quella che non sarà mai fatta interamente verità su tutto quello che è accaduto.
Tuttavia non dobbiamo arrenderci all’evidenza dei fatti e dobbiamo continuare in questo dovere civile per squarciare il velo delle menzogne e delle mezze verità.
Forse queste sono le uniche parole autentiche da usare per onorare i morti e per scrivere la vera storia di questi orrori che abbiamo vissuto.
Per Paolo
Basta con le solite parate,quando ancora le verità sono secretate,
il tritolo arrivò prestoma lo Stato non lo difese
anzi, tanti uomini venduti lo tradirono,
vili senza carità permisero un crimine orrendo,
per ridare potere alla mafia e alla politica collusa,quegli angeli morirono in fretta tra fumo e carne bruciata,
quell’odore di fuoco lo sento ancora,
mi brucia l’anima a ripensare,
dopo trent’anni viviamo di poveri ritiper quietare la coscienza.