È arrivata l’agghiacciante conferma che la mafia ha deciso di uccidere il giudice Nino Di Matteo. La notizia è stata intercettata in un colloquio in carcere del boss della ‘ndrangheta, Gregorio Bellocco, che era il capo della cosca di Rosarno.
A parlare della sentenza di morte emessa per il valoroso magistrato attualmente componente del Csm è Gregorio Bellocco, boss della ’ndrangheta, già a capo della cosca di Rosarno. Questo colloquio è avvenuto la mattina dell’1 giugno a Milano, nel carcere di Opera, dove alcuni detenuti al 41-bis commentano la notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca.
Parla di tutto ciò, durante l’ora di socialità, Francesco Cammarata, esponente mafioso della famiglia di Riesi, che commentano le dichiarazioni di Maria Falcone afferma che la sorella del “fu giudice” si lamenta solo di quel tipo di scarcerazioni.
A questo punto proprio Bellocco interviene per dire quelle parole terribili: “Anche il giudice Di Matteo lo ammazzano. Gli hanno già dato la sentenza”. Poi cala il silenzio perché nel frattempo si avvicina di passaggio un agente del Gom, che, comunque, riesce a sentire quelle frasi dette e stila un rapporto ai suoi superiori.
Pertanto la relazione è finita al Dipartimento amministrazione penitenziaria, che naturalmente l’ha inviata alle procure competenti di Reggio Calabria e Palermo. Adesso, gli investigatori intendono capire a cosa si riferiva Bellocco anche se già trapelate notizie relative al piano di morte di Cosa Nostra nei confronti di Nino Di Matteo.
Sono, infatti, notizie che risalgono al 2014 e oggi però questo boss della ’ndrangheta ne parla sette anni dopo. Si tenta di capire se per caso ha saputo di ulteriori piani di attentati che giungono da fuori.
Proprio Di Matteo sul caso della scarcerazione di Brusca non si era pronunciato pubblicamente. Allora ci si pone l’interrogativo del motivo di questo collegamento nel colloquio in carcere. Si ricorda a tal proposito che fu il pentito Vito Galatolo, boss mafioso dell’Acquasanta, per primo a delineare un progetto di attentato contro l’allora pm della presunta Trattativa Stato.
Per Galatolo l’ordine di uccidere il magistrato era arrivato direttamente da Matteo Messina Denaro, che inviando alcune lettere ai boss di Palermo nel dicembre del 2012 disponeva di procedere contro Di Matteo. I mafiosi si si erano riuniti in un vertice e avevano raccolto 600mila euro per acquistare 150 chili di tritolo.
Tuttavia una parte di questo esplosivo che sarebbe arrivato dalla Calabria era in pessime condizioni a causa di alcune infiltrazioni d’acqua. Sempre Galatolovga aveva dichiarato che i boss mafiosi erano riusciti a farsi sostituire la partita difettosa dai referenti calabresi e, comunque, quel dettaglio dell’infiltrazione d’acqua aveva aperto nella mente degli inquirenti una nuova e inesplorata ipotesi investigativa.
Si preconizza l’idea che la possibile provenienza del tritolo avvenga dalle stive della Laura C, la nave che fu affondata al largo di Saline Joniche nel corso della Seconda guerra mondiale. A conferma di ciò più volte i pentiti della ’ndrangheta hanno fatto riferimento al recupero di grosse quantità di esplosivo da quell’imbarcazione inabissata.
Dopo le deposizioni di Galatolo, gli inquirenti avevano iniziato la ricerca di questo tritolo che doveva essere utilizzato per uccidere Di Matteo. Mentre un altro pentito, Francesco Chiarello, ha detto che nel frattempo era già stato spostato in un luogo diverso e più sicuro.
Su queste deposizioni ha indagato la Procura di Caltanissetta, che, comunque, nel 2017 ha archiviato il fascicolo. Però per i pm tutta la storia del piano per l’attentato a Nino Di Matteo è stata riscontrata da un’accurata inchiesta e la riunione per uccidere il giudice è avvenuta.
Ma l’attentato non venne mai realizzato e di conseguenza non era possibile contestare alcun reato anche se nel procedimento di archiviazione i magistrati scrissero a chiare lettere che: “L’ordine di colpire Di Matteo resta operativo”.
Sempre nell’ambito delle conversazioni tra detenuti sulla scarcerazione di Brusca ci sono altri boss detenuti che all’incirca mezz’ora dopo le parole di Bellocco si espressi e si tratta di tre camorristi . Il primo è Gaetano Di Lorenzo che spiega di essere “contento”, visto che non considera Brusca un pentito.
Dopo parla Antonio Caiazzo che auspica: “Devono cambiare la legge sui collaboratori”. Infine interviene Vincenzo Aprea, che dice: “Come quelli di Forza Italia, quei figli di bocchini che si sono opposti alla scarcerazione”.