Ci sono personaggi che sono entrati a ragion veduta nella storia politica, non solo del socialismo italiano ma dell’intero Paese, sia per quello che hanno realizzato che per il segno che hanno lasciato con la loro opera. Una delle figure che noi socialisti ricordiamo è sicuramente quella di Giacomo Brodolini.
Brodolini era marchigiano di Recanati, dove nacque nel 1920. Studiò a Bologna e nel 1940, allo scoppio della guerra fece l’ufficiale di complemento nelle campagne di Albania e Grecia, mentre dopo fu inviato in Sardegna dove rimase sino all’8 settembre 1943 che sancì l’armistizio.
In Sardegna maturò una coscienza e una formazione politica, che lo vide entrare nelle file del Partito d’Azione e nel 1946 tutto ciò fu favorito anche in virtù delle amicizie che aveva maturato nell’ambiente antifascista tra cui Emilio Lussu e Joyce Lussu.
A 26 anni, dopo la laurea in Lettere, Brodolini militò, dunque, nel Partito d’Azione di cui divenne dirigente nelle Marche, mentre, con lo scioglimento di questa formazione politica nel 1948, scelse senza esitazione il PSI schierandosi con la componente di Riccardo Lombardi e Emilio Lussu, lavorando come funzionario del Partito dove si specializzò soprattutto nelle tematiche sindacali.
L’anno successivo divenne Segretario provinciale del Psi ad Ancona e anche componente del Comitato Centrale nel 1948. Nel 1950 andò a Roma dove fu dove fu eletto segretario nazionale della Federazione lavoratori Edili (FILLEA) della CGIL su sollecitazione di Rodolfo Morandi.
Per le sue notevoli capacità e la sua preparazione ampiamente riconosciuta entrò nel comitato direttivo della CGIL dal 1951 e nell’esecutivo sin dal 1952, restando in carica come segretario generale della FILLEA fino al 1955. Nel frattempo fu eletto alla Camera dei Deputati (1953) nella circoscrizione di Ancona-Pesaro-Macerata-Ascoli Piceno ricoprendo il seggio per tre legislature, fino al 1968, anno in cui fu eletto al Senato.
Successivamente venne nominato vice-segretario della CGIL quando Giuseppe Di Vittorio era segretario generale e Fernando Santi segretario aggiunto, restando nel vertice confederale fino al 1960.
Nell’ottobre del 1956 ci fu l’intervento delle truppe dell’URSS in Ungheria per reprimere la rivolta del popolo contro il regime comunista a Budapest e Brodolini, che era appunto il vice-segretario della CGIL, promosse una presa di posizione del suo sindacato per manifestare solidarietà al popolo ungherese e di dura condanna dell’invasione sovietica.
Redasse un documento, che venne approvato all’unanimità dalla Segretaria della Confederazione con il consenso convinto del Segretario generale della CGIL, il comunista Giuseppe Di Vittorio: “La Segreteria della CGIL esprime il suo profondo cordoglio per i caduti nei conflitti che hanno insanguinato l’Ungheria […] , ravvisa in questi luttuosi avvenimenti la condanna storica e definitiva dei metodi antidemocratici di governo e di direzione politica ed economica che determinano il distacco fra dirigenti e masse popolari… deplora che sia stato richiesto e si sia verificato in Ungheria l’intervento di truppe straniere…”.
Di Vittorio intervenne per smentire le voci che il documento era stato voluto e imposto dalla componente socialista e manifestò subito che la presa di posizione era voluta da tutti i membri della segreteria confederale. A questo punto intervenne il segretario Nazionale del Pci Palmiro Togliatti, favorevole all’intervento sovietico, che fece un “processo interno” a Peppino Di Vittorio costringendolo ad aderire alla posizione ufficiale del Partito e a fare una dichiarazione di abiura in cui si affermava che il documento era stato fatto per l’esigenza di mantenere l’unità della confederazione sindacale.
Nella fiction televisiva del 2009 sulla vita di Di Vittorio “Pane e libertà” viene raccontata la sofferenza e l’umiliazione subita dal leader Di Vittorio dal “migliore” che impose la linea di sostegno al Pcus.
Dal 1963 al 1966 Brodolini passò all’attività di partito fu eletto vicesegretario del PSI e ricoprì la medesima carica nel PSDI-PSI che furono unificati fino al 1968.
Nel dicembre di quell’anno fu nominato Ministro del lavoro e della previdenza sociale nel primo governo di Mariano Rumor 1968-1969 e, appena ricoprì la carica, spese tutte le sue energie per la presentazione, il 24 giugno 1969, di un disegno di legge, dal titolo “Norme per la tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, bozza della legge che è passato alla storia come Statuto dei diritti dei lavoratori”.
Brodolini scrisse nel testo della legge che intendeva “contribuire in primo luogo a creare un clima di rispetto della libertà e della dignità umana nei luoghi di lavoro, riconducendo l’esercizio dei poteri direttivo e disciplinare dell’imprenditore nel loro giusto alveo e cioè in una stretta finalizzazione allo svolgimento delle attività produttive”.
La discussione e l’approvazione della legge non fu semplice e ci furono polemiche nonché un vivace di dibattito tra il ministero del Lavoro, il Parlamento e le organizzazioni sindacali, in cui emerse in tutta evidenza la crisi del centro-sinistra e le dure lotte operaie dell’autunno caldo. Però oggi possiamo ben dire che si tratta di una legge che concepì una visione nuova e una concezione sostanziale del diritto del lavoro.
Si deve a questa importante e fondamentale legge sui diritti dei lavoratori la sua celebrità e, altresì, promosse una vasta attività legislativa sulla materia previdenziale e sindacale in cui propose il superamento delle gabbie salariali e la ristrutturazione del sistema previdenziale.
Fu, quindi, un principale fautore, ideatore e sostenitore dello Statuto dei lavoratori che è divenuto poi legge soltanto dopo la sua prematura morte (20 maggio 1970, n. 300) dal Ministro del Lavoro il democristiano Carlo Donat Cattin. Brodolini fu sempre vicino al mondo del lavoro ma soprattutto ai lavoratori e si ricordano a tal proposito quando trascorse da Ministro la notte del capodanno 1969 nella tenda alzata in via Veneto a Roma dai lavoratori della fabbrica romana Apollon, che erano in lotta per la difesa del posto di lavoro, e quando portò la sua solidarietà ai braccianti di Avola in seguito alla morte di due lavoratori uccisi dalla polizia il 2 dicembre 1968.
Brodolini morì a soli 39 anni in seguito ad un tumore, l’11 luglio 1969 in una clinica di Zurigo e consapevole della sua fine accelerò il suo impegno per quanto possibile nella realizzazione del suo programma politico e l’approvazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Giuseppe Saragat, Presidente della Repubblica, riconobbe l’alto valore morale e l’impegno sociale profuso da Brodolini, in special modo, nell’ultima fase della sua vita, e gli conferì la Medaglia d’Oro al Valor Civile, con la seguente motivazione: “Esempio altissimo di tenace impegno politico, dedicava, con instancabile ed appassionata opera, ogni sua energia al conseguimento di una più alta giustizia sociale, dando prima come sindacalista, successivamente come parlamentare e, infine, come ministro per il lavoro e la previdenza sociale, notevolissimo apporto alla soluzione di gravi e complessi problemi interessanti il mondo del lavoro. Colpito da inesorabile male e pur conscio della imminenza della sua fine, offriva prove di somma virtù civica, continuando a svolgere, sino all’ultimo, con ferma determinazione e con immutato fervore, le funzioni del suo incarico ministeriale, in una suprema riaffermazione degli ideali che avevano costantemente ispirato la sua azione”. Una fondazione con il suo nome è stata intitolata e, ancora oggi, opera nel campo dell’economia, del diritto e della sociologia del lavoro.