Home Attualità BRACCIO DI FERRO AL CONSIGLIO EUROPEO TRA L’UNGHERIA E UNA PARTE DELL’UE

BRACCIO DI FERRO AL CONSIGLIO EUROPEO TRA L’UNGHERIA E UNA PARTE DELL’UE

by Calogero Jonathan Amato

Il premier ungherese Orbán nella bufera per una legge che limita l’accesso dei giovani alle informazioni LGBTQ.  E il premier olandese Rutte vuole l’Ungheria fuori dalla Ue. È andato in scena al Consiglio Europeo il duro braccio di ferro tra l’Ungheria del primo ministro Viktor Orbán e una parte dell’Unione Europea dopo la ratifica della legge contro i temi LGBTQ nelle scuole, da parte del Parlamento di Budapest. A Bruxelles il premier ungherese ha ribadito che non intende ritirare il provvedimento. Secondo la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen, “la legge ungherese è una vergogna, discrimina persone sulla base dell’orientamento sessuale, va contro i valori fondamentali della Ue”.

E proprio sul ‘caso Ungheria’ 18 capi di stato e di governo – inclusi Angela Merkel, Emmanuel Macron, Mario Draghi e Pedro Sanchez – hanno inviato una lettera ai vertici delle istituzioni Ue, in cui ribadiscono il loro impegno per la difesa dei valori fondamentali dell’Unione. Con questa legge anti-LGBTQ “l’Ungheria non ha posto nell’Ue” ha detto il premier olandese Mark Rutte, a margine del vertice, aggiungendo a proposito di Orban: “È spudorato e perciò penso che andrà avanti”, ma “l’obiettivo a lungo termine è mettere l’Ungheria in ginocchio. Devono capire che o sono membri dell’Unione Europea, e perciò della nostra comunità di valori – dove nessuno può essere discriminato in base al colore della pelle, al genere, all’orientamento sessuale o qualsiasi altra cosa, come previsto dall’Articolo 2 dei trattati, che non è negoziabile – o ne sono fuori”, ha spiegato Rutte. Ma non tutti i leader si sono schierati contro Orbán. Polonia e Slovenia, solidali con Budapest, hanno difeso la legge ungherese, mentre altri paesi, come la Slovacchia, non ha preso posizione.

La scorsa settimana il parlamento ungherese ha approvato approvata con 157 voti a favore e un solo contrario la legge che prevede sanzioni più pesanti per i crimini sessuali contro i minori. Nella versione originale, il Ddl non si rivolgeva alle minoranze sessuali, ma una modifica dell’ultimo minuto dei parlamentari del partito Fidesz al governo ha introdotto il divieto per “la promozione o rappresentazione dell’omosessualità o transessualità ai minori” e norme stringenti per la scelta del personale addetto all’educazione sessuale nelle scuole. Di fatto, la legge vieta di promuovere nelle scuole programmi educativi e di informazione sull’omosessualità o sulla possibilità di richiedere un intervento chirurgico per cambiare sesso. Inoltre film e serie televisive come Friends o Billy Elliot e Harry Potter, in cui si parla esplicitamente di omosessualità, potrebbero essere vietati ai minori e trasmessi alla televisione solo dopo le 11 di sera. Non è la prima volta che il governo di Viktor Orbán si schiera contro le minoranze sessuali, e oltre ad alimentare la retorica infiammatoria, nel corso degli anni ha avallato una legislazione restrittiva nei confronti dei diritti LGBTQ+. La riforma penale dei crimini sessuali contro i minori è diventata un argomento politico caldo in Ungheria a metà del 2020, a seguito di uno scandalo che ha coinvolto l’ex ambasciatore ungherese in Perù, Gábor Kaleta, arrestato dall’Interpol per coinvolgimento in traffico e sfruttamento sessuale di minori. Alla fine, Kaleta ha pagato una multa irrisoria di 1.500 euro, ed è stato rilasciato con sospensione della pena. Nello scandalo che ne è seguito, Fidesz ha promesso di riformare il codice penale e di introdurre sanzioni più pesanti per i crimini sessuali contro i minori.

“Non abbiamo una legge contro l’omosessualità in Ungheria. Abbiamo una legge che difende genitori e bambini. È sempre meglio leggere prima e poi reagire”: è la replica di Orbán alle polemiche scatenate dalla nuova legge. Il premier ungherese ha insistito, ricordando di aver “lottato per la libertà sotto il regime comunista, anche per i diritti gay”. Come ha ricordato lo stesso Orbán, la legge è già stata approvata e difficilmente l’Europa riuscirà a trovare l’unanimità per espellere l’Ungheria dall’Unione. La Commissione, dal canto suo, contesta all’Ungheria la violazione del divieto di discriminazione sulla base del sesso e dell’orientamento sessuale, della libertà delle persone di esprimersi e del diritto a una vita privata e a una famiglia previsti dalla Carta sui diritti fondamentali dell’Ue. Inoltre, la legge ungherese viola la direttiva sui servizi audiovisivi e una direttiva sull’e-commerce. Bruxelles richiede quindi di fornire chiarimenti entro il 30 giugno. È il primo passo per un’eventuale procedura di infrazione. Ursula von der Leyen potrebbe anche chiedere l’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo per bloccarla, ma i tempi rischiano di essere molto lunghi.

Quella sui diritti LGBTQ è solo una delle tante battaglie che vedono l’Unione europea e l’Ungheria su fronti diversi. Il punto è che Budapest si dimostra ancora una volta, insieme a Varsavia, l’anello debole dell’Unione in fatto di diritti e principi democratici. Dopo quelle sulla politica migratoria, le ong e la stampa, è la quarta volta in poco più di un anno che una legge ungherese viene giudicata contraria al diritto europeo. Per non parlare del veto imposto dai due paesi contro il meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto in fase di approvazione del Recovery Fund. Ma in questa guerra di posizione, stavolta, Viktor Orbán sembra aver varcato una linea rossa. Dopo oltre un decennio di deriva illiberale con poche o nulle conseguenze da parte europea, la pazienza sembra aver raggiunto il limite, mentre cresce la pressione politica affinché il blocco dimostri che sta facendo qualcosa per contrastare gli affondi di Budapest contro democrazia e stato di diritto. Lo si è visto anche negli stadi europei, dove le battaglie per la parità di diritti hanno fatto irruzione sui campi da calcio come a Monaco di Baviera. Ma è toccato al primo ministro svedese Stefan Löfven mettere il dito nella piaga: “I contribuenti svedesi – ha detto al Consiglio – sono stufi del fatto che il denaro del bilancio che contribuiscono a versare all’UE vada a paesi che non rispettano i nostri valori”.

“La legge ungherese ricorda tanto quella con cui la Russia nel 2013 vietò ‘la propaganda LGBT’. Anche in questo caso l’obiettivo di Budapest è quello di creare una contrapposizione ideologica contro quella che viene vista come una deriva morale dell’Europa occidentale. La legge non è tanto il frutto di un’innata omofobia insita in Orban o nel popolo ungherese, quanto piuttosto della volontà di riproporre – come anche sui migranti e altri dossier – una polarizzazione che vede da un lato la democrazia liberale e dall’altro i cosiddetti sovranismi. Ed è proprio questa polarizzazione che fa la fortuna politica del governo di Orban”.

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