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Il rapporto politico ed umano di Sandro Pertini con Filippo Turati

by Emilio Graziuso

Nell’appassionante viaggio che, come avantilive.it, stiamo conducendo alla riscoperta della figura di Sandro Pertini, una tappa fondamentale ed imprescindibile dello stesso è costituita dal rapporto tra il futuro Presidente della Repubblica Italiana e Filippo Turati.

Da un esame dei documenti e delle testimonianze degli anni dell’antifascismo e della resistenza, si evince, in modo chiaro ed inconfutabile, l’intensità e nobiltà di tale legame, alimentato quotidianamente da entrambi, anche nei periodi più bui della propria esistenza umana e politica.

Ma da dove scaturiva questo rapporto, ricco di aspetti spesso poco esplorati?

Per rispondere a tale domanda occorre andare “oltre” la comune appartenenza al Partito Socialista ed alla condivisione di ideali e di lotta politica.

È necessario adottare un prisma diverso attraverso il quale leggere il legame tra le due icone del Socialismo e prendere le mosse dagli anni giovanili e della formazione del futuro Presidente della Repubblica, quando, all’età di 18 anni, si iscrisse al Partito Socialista.

Il giovane Pertini vedeva, infatti, in Filippo Turati, del quale aveva studiato, in modo approfondito, il pensiero, la personificazione dei valori nei quali credeva e lo considerava una vera e propria bandiera vivente del Socialismo.

Solo partendo da questa immagine, che Turati rivestiva agli occhi del diciottenne Pertini, si può comprendere la profonda e sentita “devozione” che quest’ultimo nutriva nei confronti di uno dei Padri del Socialismo Italiano e l’ispirazione che dallo stesso ne traeva, sia dal punto di vista umano che politico.

“Devozione” che si evince dalla circostanza – derivante da un intimo sentire e non, semplicemente, da una forma di educazione o di rispetto per motivi politici o anagrafici – che, per tutta la vita, anche quando i due erano accomunati dal triste destino di esuli in Francia, dopo la fuga dall’Italia, Pertini si rivolgeva a Turati dandogli del “Lei” e chiamandolo “Maestro”.

Ed è proprio nell’utilizzo dell’appellativo “Maestro”, utilizzato da Pertini, che si può ravvisare l’essenza del rapporto tra i due: quel legame indissolubile che si instaura, o meglio si dovrebbe, sempre, instaurare, tra “Maestro” e “discepolo”.

Legame caratterizzato, nel caso di specie, da quell’amore profondo ed intransigente per la libertà e la giustizia che rappresentarono per Turati e Pertini un imperativo ispiratore della loro condotta e della loro vita.

Se il giovane compagno vedeva nel capo del partito al quale aveva aderito il proprio “Maestro”, Turati, a mio parere, alla luce della documentazione analizzata, vedeva in Pertini, colui che ne avrebbe raccolto idealmente il suo testimone, facendo risplendere in Italia, qualora fosse stata liberata dal fascismo, il sole dell’avvenire.

E così, attraverso un monologo immaginario  di Filippo Turati (monologo immaginario nella forma e nella struttura ma non nei contenuti, in quanto strettamente fedele agli avvenimenti storici e contenente passaggi – riportati in virgolettato – di documenti, articoli e di carteggi epistolari dell’epoca), vediamo come il “Maestro” considerava il proprio “discepolo” :

“«Alessandro Pertini era uno degli avvocati più giovani e più pregiati del Foro di Savona. Molto talento ed un gran cuore. Coraggio e probità fuor misura.  Sarebbe diventato deputato del collegio se non avesse avuto la disgrazia – fortuna di essere ancora troppo giovane.

Egli appartiene al Partito Socialista Unitario e siccome era ardente antifascista il suo studio venne devastato, lui fu perseguitato e boicottato nell’esercizio della sua professione e fu condannato, senza neppure interrogarlo, alla deportazione per via amministrativa per cinque anni nella Cajenna d’Italia.

Riuscito a sottrarsi alle ricerche della polizia fascista, la notte dell’11 dicembre 1926 siamo partiti insieme per mezzo di un leggero motoscafo, a rischio della vita, raggiungemmo la Corsica donde venimmo a Nizza ed a Parigi» (Biografia di Sandro Pertini inviata da Filippo Turati al deputato Guernut per perorare la difesa del giovane compagno avvenuta dopo l’arresto, avvenuto nel 1928, dello stesso nella città di Eze, vicino Nizza, sulla Costa Azzurra).

Come dimenticare la nostra rocambolesca fuga dall’Italia. Insieme a me e Sandro c’erano Carlo Rosselli, Adriano Olivetti, Ferruccio Parri, Riccardo Bauer, Italo Oxilia e Lorenzo Da Bove.

«Ci imbarcammo a pochi passi dagli agenti. Comandi secchi. La barca si scosta. “Buona pesca”, ci grida all’uscita un pescatore. “Grazie”. Il pesce grosso ha rotto la rete e corre in alto mare. Dodici ore durò la traversata. Orribili.

Al mattino, dopo 90 miglia di navigazione, Capo Corso rimaneva introvabile. Una nuvolaglia bruna impediva la vista: è un momento di incertezza e di smarrimento  a bordo.

Il vento ci aveva fatto deviare.

Col mutamento di rotta la danza si fa più selvaggia. L’onda sbatte sulla fragile chiglia che pare debba ad ogni colpo schiantarsi» (C.Rosselli, Scritti Politici ed autobiografici, Napoli, 1944)

Alle dieci del mattino arrivammo nella rada di Calvi, dove ci portarono nella Capitaneria per l’interrogatorio.

L’anno successivo, Pertini mi scrisse una lettera per l’anniversario, chiamandomi, come sempre, “Maestro” e ricordandomi la prima domanda che ci posero durante il detto interrogatorio «Chi è il comandante del motoscafo?» alla quale seguì la mia ferma risposta «Moi, Filippo Turati» (Lettera di Sandro Pertini a Filippo Turati, in B. Craxi, Turati e Pertini, Milano 1982).

Ma torniamo a Sandro.

«Non avendo nessun modo di ripigliare la sua professione di avvocato né un’altra analoga, sprovvisto di mezzi, e non volendo pesare sulle nostre troppo magre casse d’assistenza, Pertini prese bravamente il coraggio a quattro mani e approfittando del fatto che uno dei nostri migliori compagni ex segretario del nostro partito a Roma, aveva ripigliato a Nizza il suo mestiere di muratore, andò da lui e si fece manovale ed imbianchino, guadagnandosi la vita con una aspra fatica, ciò che non gli impedì di dedicare il suo impegno la sera e la domenica, ai bisogni dei suoi compagni d’esilio ed agli emigrati italiani in generale» (Biografia di Sandro Pertini inviata da Filippo Turati al deputato Guernut per perorare la difesa del giovane compagno avvenuta dopo l’arresto, avvenuto nel 1928, dello stesso nella città di Eze, vicino Nizza, sulla Costa Azzurra)

Il lavoro manuale, per dichiarazione stessa del mio giovane compagno, gli «donò lo stesso sollievo che danno gli stupefacenti» ( Lettera di Sandro Pertini a Filippo Turati, in B. Craxi, Turati e Pertini, Milano 1982), egli, infatti, considerava «“inutile” l’esilio» (Lettera di Sandro Pertini a Filippo Turati, in B. Craxi, Turati e Pertini, Milano 1982) in quanto, da uomo di azione, era sensibile, troppo sensibile, al richiamo della lotta da condurre in Patria.

Egli cercò sempre, dalla Francia di intrecciare rapporti vivi con i compagni rimasti in Italia, come quella volta che in una casetta di campagna impiantò una stazione radiofonica, che, una volta scoperta, a seguito di una circostanziata denunzia anonima, gli costò un processo ed una condanna, seppur mite, ad un mese di prigione con il beneficio della condizionale, senza l’iscrizione nel casellario penale e senza multa.

Purtroppo non ebbe lo stesso epilogo il processo, scaturito dall’arresto avvenuto al suo rientro in Italia, dinnanzi al Tribunale Speciale.

Esso si concluse, infatti, il 30 novembre 1929, con una condanna a dieci anni e nove mesi di reclusione «per aver diffuso all’estero notizie che possono diminuire il prestigio del regime» (F.Turati, Bollettino “Italia” n. 19 del 20 dicembre 1929).

Non posso non evidenziare che la condotta di Pertini «fin dal primo giorno, fino all’esito del processo, è stata quella di uno dei più puri eroi della storia. La nobiltà del suo stoicismo non si smentì per un solo istante» (F.Turati, Bollettino “Italia” n. 19 del 20 dicembre 1929).

Basti pensare che «quando la sentenza fu pronunciata Pertini si alzò gridando con tutta la forza: “Viva il socialismo, abbasso il fascismo”» (F.Turati, Bollettino “Italia” n. 19 del 20 dicembre 1929)

Ho sempre pensato che se il carcere non l’avesse ucciso sarebbe stato «un giorno una delle forze spiccate dell’Italia redenta» (F.Turati, Bollettino “Italia” n. 19 del 20 dicembre 1929)

E così è stato.

Sandro Pertini ha fatto risplendere in Italia il sole dell’avvenire, portando i nostri valori nella Costituzione, prima, e nelle Istituzioni, dopo.

Colui che mi chiamava “Maestro” è diventato Presidente della Repubblica Italiana, una Repubblica democratica che egli stesso aveva contribuito a costruire. Il Presidente socialista e partigiano è stato il Presidente più amato dal popolo Italiano.

E questo mi riempie di orgoglio e fa scaturire in me una profonda commozione. Oggi, si sente spesso ripetere, a distanza di cento anni dall’amara e drammatica scissione di Livorno, che  “Turati aveva ragione”.

Non so se avevo ragione in merito alla prospettiva ed alle sorti del movimento socialista, ma, sicuramente, avevo ragione a considerare Sandro Pertini la persona che avrebbe, insieme ad altri valorosi compagni, fatto brillare, nuovamente, in Italia la fiaccola, mai sopita, del nostro glorioso Partito.

Lui che vedeva in me la bandiera del Socialismo è divenuto a sua volta la bandiera dello stesso, «stendardo di speranza, di ripresa e di rivincita» (F.Turati, in B.Craxi, Turati e Pertini, Milano 1982) che, già prima dell’avvento nefasto del fascismo, rappresentava per i lavoratori italiani «quarant’anni di progresso sociale, lo scambio della servitù economica contro una condizione di libertà e di dignità, l’iniziazione alla vita politica» (F.Turati, in B.Craxi, Turati e Pertini, Milano 1982).

Non a caso, quando il comitato esecutivo della sezione di Parigi del partito socialista, iniziando il tesseramento del 1931, mi inviò la tessera n.1 offrendomela quale segno di “grande affetto e di altissima considerazione”, ringraziai onorato ma aggiunsi, «Ma a me il numero uno non spetta (hèlas) che come anzianità. Mi permette di cederlo ad un assente che deve essere presente: ad Alessandro Pertini» (F.Turati, in B.Craxi, Turati e Pertini, Milano 1982)”

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