Il 23 novembre del 1980 alle ore 19.34 si consumò una tragedia biblica che sarà la più grande dell’Italia repubblicana con quasi 3000 morti e una ferita profonda nell’Irpinia tra la Campania e la Basilicata.
Questo triste anniversario cade in un momento assai drammatico per il Paese e oggi è un giorno di meditazione per rievocare il ricordo della paura, della disperazione, del dolore e del lutto che pervase un’area geografica quasi irraggiungibile nel cuore del mezzogiorno d’Italia.
Il terremoto mise in luce carenze e lentezze inammissibili per un Paese civile. A ripensarci tante vite umane sarebbero state salvate se ci fosse stato un moderno sistema di protezione civile che fu istituito successivamente. La memoria di quei fatti ci deve servire, non solo per ricordare le migliaia di vittime di quel catastrofico sisma, ma anche per capire sino in fondo quel che è successo e se l’insegnamento negli anni a seguire sia stato utile per fare meglio ed evitare gli errori.
Sono vivide nei nostri occhi le immagini dell’angoscia e del terrore delle popolazioni che vennero espresse in modo completo dal Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che commosso e addolorato disse agli italiani: “Il miglior modo di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”.
Il capo dello Stato denunciò con veemenza e durezza la scarsa organizzazione della macchina dei soccorsi invocando interventi celeri e urgenti. L’Irpinia fu un incubo straziante, di dimensioni enormi con centinaia di migliaia di sfollati che si ritrovarono senza casa e con centri abitati totalmente distrutti.
La ricostruzione avvenne con i soliti ritardi, le manchevolezze e le inadempienze segnata da scandali, corruzione e speculazione che sono l’esatta metafora di una Nazione infetta. Dopo i lutti, i dolori e le morti dunque vi sono le conseguenze sociali civili e morali del terremoto che producono gli effetti per decenni gettando una lunga ombra sul futuro delle nuove generazioni.
Quella vasta area che fu colpita dal sisma del 1980 aveva gravi problemi prima di quel maledetto 23 novembre perché la gente era in gran parte costretta all’emigrazione da paesini inerpicati tra i monti. Il desiderio era sempre quello di ritornare nelle propria terra per costruire le case della vecchiaia e improvvisamente oltre questo sogno infranto vennero spezzate le vite di tanta gente che in quella “malanotte” si ritrovò a morire tra le macerie.
Da quel terribile terremoto, dopo quarant’anni, ci viene consegnato in ogni caso uno Stato più capace di soccorrere chi viene colpito da calamità naturali con una organizzazione del volontariato tra i più quotati del mondo. Restano comunque molte carenze organizzative e lentezze nelle ricostruzioni dai terremoti che depongono sempre per uno Stato inefficiente, incapace e pachidermico.
Quindi luci e ombre dal terremoto dell’Irpinia che è stata ricostruita in questi luoghi bellissimi, moderni e rinnovati. Frattanto bisogna riflettere sul rafforzamento della nostra capacità di resilienza collettiva di fronte a catastrofi naturali proprio oggi di fronte ai drammi della pandemia in corso.
Occorre sempre lavorare uniti, a tutti i livelli, superando le diversità di visioni per costruire sul piano etico un’Italia trasformata che sia: unita e meno diseguale, che sappia essere sempre solidale, che sia strutturata con una protezione civile funzionale, che sappia valorizzare il volontariato e la tutela dei territori.