Si sono rivolti al Capo dello Stato i parenti delle vittime della Moby Prince, una strage che ancora non ha una risposta. Una tragedia avvenuta nel porto di Livorno e che portò alla morte di 140 persone.
I familiari delle vittime si sono visti negare le richieste di risarcimento da due ministeri e da quasi trent’anni attendono la verità. Tutti questi decenni trascorsi nelle aule di giustizia perché vengano accertate le responsabilità di quanto accadde quella notte del 10 aprile 1991, a largo del porto di Livorno.
Ora, devono subire “l’ennesimo schiaffo giudiziario” che viene inferto dal tribunale civile di Firenze con il diniego alle richieste di risarcimento, indirizzate ai ministeri della Difesa e dei Trasporti. Così si perde definitivamente da parte dei familiari delle vittime la fiducia nella giustizia e, quindi, non resta che l’ultima speranza di scrivere alle più alte cariche dello Stato.
Innanzitutto si chiede che il più grave disastro nella storia della marina italiana non resti senza un colpevole.
“Siamo entrati nelle aule di Tribunali certi che quella frase, «la legge è uguale per tutti», non avesse solo un valore simbolico ma reale – si legge nella lettera indirizzata al Capo dello Stato Sergio Mattarella, al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e ai presidenti di Camera e Senato – Invece siamo stati trattati non da vittime, ma da questuanti”.
Durissimo l’esordio della missiva firmata da Loris Rispoli, presidente dell’Associazione 140, e Luchino Chessa dell’Associazione 10 aprile, che manifestano di aver nessun dubbio a proposito del fatto che una parte dei passeggeri del Moby Prince, morti carbonizzati nell’incendio che divampò dalla collisione del traghetto con la petroliera Agip Abruzzo, sarebbero sopravvissuti se i soccorsi fossero arrivati in tempi ragionevoli.
“La Commissione di inchiesta del senato ha accertato che la vita a bordo è durata per ore – continua la lettera – Quindi siamo di fronte a una strage, non casuale ma piena di responsabilità. Chiediamo con dolore ma con dignità che si diano delle risposte, non possiamo più accettare i silenzi di trent’anni. Alla fine del processo penale – si rammenta nella lettera – il pm affermò che le vittime fossero morte per via di un destino cinico e baro. Oggi, dopo le conclusioni della Commissione formulate nel 2018, sappiamo che non fu così. Non è vero che i passeggeri morirono tutti nel giro di mezz’ora, come più volte è stato ripetuto. Molti potevano e dovevano essere salvati. Per questo non siamo di fronte a una tragedia, ma a una strage”.
Troppe domande ancora sono senza risposta. Il sostegno formale del Capo dello Stato c’è sempre stato ai familiari delle vittime ma adesso per loro ora non basta più. “Voi siete la massima espressione di questo Paese e della sua classe politica – si conclude la lettera – Spetta a voi verificare e correggere quegli errori di cui sono piene indagini e sentenze, siete e dovete essere la voce critica di un Paese che non può continuare a vedere i propri figli morire nell’indifferenza”.
Infatti lo scorso 14 novembre, il tribunale civile di Firenze aveva respinto le richieste di risarcimento formulate nei confronti del ministero della Difesa e dei Trasporti. La decisione giudiziaria è stata giustificata poiché il caso “deve ritenersi prescritto”, si legge nel dispositivo delle motivazioni emesse dal giudice, essendo trascorsi più di due anni dalla sentenza della corte d’appello che è “divenuta irrevocabile dal 5 febbraio 1998”.
Nel frattempo due deputati del Pd, il cagliaritano Andrea Frailis e il livornese Andrea Romano, hanno annunciato qualche giorno fa l’intenzione di depositare una proposta di legge per istituire una nuova commissione d’inchiesta sul disastro.
“Il Covid ha rallentato i tempi, ma l’impegno c’è ed è concreto”, dichiara conferma Rispoli: “Bisogna concludere quel grande lavoro per ristabilire la verità che finalmente si è cominciato”.