La violazione delle ataviche, leggi della morale nel mondo mafioso, possono portare alla morte di chi le infrange. E’ quello che è successo a Catania dove un mafioso ha ucciso la sorella perché tradiva il marito e poi l’ha gettata in un pozzo.
Questo orrendo delitto maturato nell’ambito del “familismo mafioso” è stato scoperto dopo 26 anni e ad essere arrestato è il figlio del boss Alleruzzo, che negli anni ’70 e ’80, guidava le famiglie mafiose di Paternò appartenenti a Cosa nostra, e che proprio in quegli anni erano al centro di una guerra sanguinaria con i clan rivali.
Il corpo della donna è stato rinvenuto il 25 marzo 1998, dai militari del Nucleo operativo di Paternò e adesso la Direzione distrettuale antimafia di Catania ha emesso un ordine di custodia cautelare nei confronti Alessandro Alleruzzo, appunto figlio del boss mafioso Giuseppe, con l’accusa di aver ucciso la sorella per le sue relazioni extraconiugali con uomini dei clan mafiosi nemici.
Le ricostruzioni dagli inquirenti sono state fatte in gran parte con l’ausilio dei collaboratori di giustizia Francesco Bonomo, Antonino Giuseppe Caliò e Orazio Farina. La donna, Nunzia Alleruzzo, infatti sarebbe scomparsa di casa il 30 maggio del 1995 e all’epoca il suo bambino di 5 anni disse di averla vista uscire di casa proprio con suo zio Alessandro.
Un collaboratore di giustizia ebbe a dichiarare ai magistrati che lo stesso Alleruzzo gli riferì “di aver ucciso la propria sorella per riscattare l’onore della famiglia”.
La famiglia Alleruzzo, era una potentissima cosca criminale che negli anni ’70 e ’80, guidava le famiglie mafiose di Paternò, un grosso centro in provincia di Catania e appartenenti a Cosa nostra, che proprio in quegli anni erano al centro di faide con i clan rivali.
Il ritrovamento del corpo della donna avvenne a seguito di due telefonate che indirizzarono i carabinieri verso un pozzo sul cui fondo vi erano i resti di una donna, accanto a un teschio con due fori causati da colpi di arma da fuoco.
Questa donna pagò perché “aveva avuto numerose relazioni sentimentali con componenti del clan, abbandonando il marito”, hanno detto i tre pentiti, dichiarando di “avere appreso direttamente da Alessandro Alleruzzo” che era stato lui ad “avere ucciso la sorella, sporcandosi di sangue e terra per averla dovuta trascinare, per riscattare l’onore della famiglia”.
Il collaboratore Farina ha anche aggiunto poi che “tra gli amanti di Nunzia Alleruzzo c’era anche Giovanni Messina, che era il componente del gruppo che aveva ucciso la madre della donna e che pensava di uccidere suo fratello Alessandro”.
Questa riapertura dell’inchiesta è avvenuta all’inizio di quest’anno, quando la Dda di Catania ha disposto intercettazioni nella cella del carcere di Asti in cui era detenuti Giovanni Messina e Salvatore Assinnata, che commentando alcuni articoli dei giornali in cui si riportava la notizia delle indagini hanno affermato: “Alessandro è il mandante, l’ha uccisa”.