La vicenda post elettorale americana diviene ogni giorno più intricata e rischia di arroventarsi giungendo ad un livello intollerabile, tanto per l’opinione pubblica internazionale che assiste attonita quanto, soprattutto, per la società americana, divisa tra un “trumpismo” aggressivo e farneticante e un bisogno di pacificazione ed equilibrio. Ne abbiamo discusso con Salvo Andò. La democrazia della nuova frontiera sembra un sogno smarrito dopo gli anni della Presidenza Trump.
Il presidente uscente continua la sua guerra sempre più solitaria contro tutti nel tentativo di costruire un suo partito personale. Il risultato è l’aumento del numero dei suoi nemici all’interno del partito repubblicano il quale non tollera una lacerazione del tessuto istituzionale ma soprattutto l’estremismo irresponsabile di Trump.
Trump non accetta di passare la mano senza lasciare una traccia indelebile a futura memoria. Cerca sicuramente di non perdere il rapporto con il suo popolo cercando di cavalcare tutte le cause che possono essere divisive, cioè creare fratture sociali.
Vuole conservare un potere negoziale anche per proteggere i suoi affari che non sempre sono affari puliti. Almeno per il passato è stato così e poi sta cercando di trovare un erede nella sua famiglia su cui scommettere elettoralmente in un futuro che gli consenta di mantenere il dialogo con quella parte della società americana la quale ritiene che solo un paese diviso all’insegna del razzismo, della prepotenza dei più ricchi contro i più poveri possa difendere il suo primato del mondo.
Secondo Trump le elezioni sono state truccate ma lo diceva già prima della chiusura delle urne. Il conflitto che Trump, sta scatenando nel paese è un conflitto senza precedenti nella storia democratica degli Usa. Ma oramai pare che questa sua crociata sia ignorata dai media che si sono resi conto che ormai l’ex presidente non riesce più a controllarsi, vive in uno stato di agitazione permanente, vede nemici ovunque, e non si rende conto dei danni che produce al tessuto istituzionale del suo paese, danni che in qualche caso saranno irreparabili.
È ossessionato dall’idea di essere l’uomo della provvidenza che può far tornare grandi gli Stati Uniti nel mondo. Sono vani i tentativi di alcuni leader del partito repubblicano di spingerlo verso una salutare autocritica e non si rende conto della situazione di isolamento internazionale in cui ha gettato gli Usa attraverso le sue sortite estemporanee. Le calunnie che rivolge a destra e a manca per sostenere la tesi della frode elettorale forse avranno un seguito anche legale.
Quali sono gli effetti sulle istituzioni degli Stati Uniti?
In ogni caso l’equilibrio dei poteri risulta profondamente alterato da questa esperienza della presidenza Trump e soprattutto dal modo di come si sta congedando dal paese. Ha accusato alcuni governatori di frode elettorale, ha affermato che lo Stato della Pennsylvania è uno stato corrotto perché non l’ha votato. Ha spiegato agli americani persino che la Corte suprema lo avrebbe insediato alla Casa Bianca trattandosi di una Corte suprema amica perché in maggioranza fatta da repubblicani.
Un ragionamento pazzesco. Nessuno aveva mai osato tirare in ballo la Corte suprema per questioni che riguardano la lotta politica spicciola. In passato si sono avuti dei conflitti tra la Corte suprema e i presidenti, tra la Corte suprema e il congresso nel corso della lunga storia americana ma su questioni che riguardavano la politica dei diritti, che riguardavano il modo d’essere dello Stato federale. Mentre mai si era strattonata la Corte suprema per poter avere ragione di un risultato elettorale sfavorevole.
Ben diversa è stata la vicenda della prima elezione di Bush jr a causa della contestazione del voto in Florida. Si trattava di questioni affrontate in punto di diritto e non dalla contestazione di un complessivo risultato elettorale che in tutti gli stati è stato riconosciuto come assolutamente regolare considerato anche che le contestazioni fatte dal presidente uscente riguardavano poche migliaia di voti mentre la distanza tra i due candidati è una distanza misurabile in milioni di voti.
Trump ha cercato di portare avanti un disegno di destabilizzazione del sistema istituzionale spingendo gli americani e l’opinione pubblica internazionale a non avere fiducia nella democrazia americana così da fare terra bruciata al suo avversario, così da complicargli la vita, nella speranza che un probabile maggioranza repubblicana in Senato possa creare una situazione di stallo decisionale in un momento in cui gli USA sono alle prese con una terribile emergenza e quindi poter creare forti tensioni sociali con i suoi sostenitori che nei primi giorni della contestazione elettorale giravano per le strade esibendo le armi che tenevano in pugno.
Le reazioni proveniente dal mondo possono influire su tale scenario?
Di fronte a queste scene le cancellerie si sono subito mobilitate a riconoscere la vittoria di Biden, stabilendo subito una relazione con il nuovo presidente così da scongiurare ogni ipotesi di vuoto di potere nel sistema delle relazioni tra gli stati, considerato che questo era uno degli obiettivi perseguiti dal presidente uscente.
Nessun leader politico occidentale si è rifiutato di prendere atto del risultato elettorale. Da questo punto di vista è stato patetico l’atteggiamento del nostro Salvini, che ha cercato di distinguersi spiegando che effettivamente c’era del marcio alla base del risultato ottenuto dal nuovo presidente americano.
Ma si trattava di parole in libertà che si addicono a chi non conosce le istituzioni di quel paese. Molti apparati dello Stato in questi frangenti sono state messi a dura prova a causa delle rappresaglie ordinate da Trump che ha attaccato la C.I.A. per presunte manovre scorrette volte ad alterare i risultati elettorali, che ha licenziato il ministro della difesa perché non è stato leale in campagna elettorale, ha attaccato anche illustri scienziati americani il cui prestigio nel mondo non è stato mai in discussione accusandoli di non avere condiviso la sua campagna negazioniste e di avere creato allarme sociale a proposito della diffusione del virus come se il numero dei morti degli Stati Uniti non fosse il più alto che si sia registrato nel mondo a causa della pandemia.
Non si trattava certo di una invenzione di scienziati ostili al presidente americano. In questi anni purtroppo la democrazia americana è stata messa continuamente sotto stress per una sequela di scomposte esternazioni di un Presidente che ha mostrato di non essere competente, ma solamente malato di narcisismo e sempre aggressivo. Non ha mai compreso le gravi conseguenze e gli effetti negativi che le sue affermazioni producevano per la stessa sicurezza nazionale.
Qual è stata la politica estera di Trump ?
The Donald è stato un punto di riferimento per tutti i regimi autoritari del mondo, per i dittatori più screditati, avendo promesso aiuti a tutti coloro che attentavano alla democrazia e in Europa a tutti coloro che congiurano contro la tenuta, l’espansione, il consolidamento del processo di integrazione europea. Ha fatto tutto ciò in modo esplicito violando le regole del galateo istituzionale e ignorando il vincolo costituito dalle alleanze che legano gli Stati Uniti al mondo occidentale.
Per tutte queste ragioni i capi di Stato, i capi di governo si sono subito mobilitati per manifestare solidarietà nei confronti del presidente neoeletto tirando un sospiro di sollievo per il fatto di non avere a che fare con un interlocutore pericoloso e a tratti apparso davvero irresponsabile per le conseguenze che la sua politica produceva ovunque alla stabilità politica e alla sicurezza internazionale.
Coloro i quali non hanno fatto i complimenti di rito al neopresidente hanno fatto una scelta di campo precisa, sottolineando come il ritorno degli Stati Uniti ad una politica di tradizionale solidarietà occidentale per loro rappresenti un rischio preferendo invece un’America chiusa entro le proprie mura con i confini blindati e soprattutto impegnata a respingere alle frontiere gli ultimi della terra che varcano quei confini contraddicendo la tradizione di ospitalità e valorizzazione di quanti hanno scelto di vivere negli Stati Uniti cercando opportunità di vita dignitose che non avevano nei paesi di origine.
Trump era convinto che dividendo sempre più pesantemente il paese sarebbe riuscito a consolidare la propria egemonia su una parte di esso, e che il diffondersi delle violenze in alcune aree urbane facesse gioco alla sua politica razzista, alla sua irresponsabile predicazione volta a promuovere la diffusione delle armi che dovrebbe consentire ad ogni cittadino di difendersi da sé.
Alla base di questa predicazione c’era anche il rapporto organico che il presidente uscente aveva con alcune grandi industrie produttrici di armi; Trump si è identificato con quella parte della società americana che crede nelle cospirazioni antiamericane e che sembra decisa a contrastare il complotto mondiale contro gli Usa.
Quella parte della società americana che reputa i suprematisti bianchi un’avanguardia impegnata a fare ritornare l’America grande e invincibile. E’ l’America che vuole le discriminazioni razziale, che esalta il machismo e rivendica gli insulti sessisti. A costoro Trump si rivolgeva per esaltarne il salvifico ruolo sociale che avrebbe garantito il progresso americano.
Sin dal primo momento solo i fanatici sostenitori di Trump hanno pensato che il risultato uscito delle urne si potesse modificare attraverso contestazioni relative alla regolarità delle operazioni elettorali rimaste sempre prive di prova. Ma alla base delle contestazioni di Trump c’è un preciso calcolo politico. In sostanza cerca di tenere in caldo il suo popolo per dimostrare che sarà ancora nelle condizioni di essere ben presente in tutti gli appuntamenti elettorali futuri per consolidare un apparato di consenso per il cui mantenimento continua a raccogliere fondi.
Trump non riconosce la vittoria di Biden per spiegare al suo popolo di essere vittima di una grande congiura dietro la quale si muovono anche potenze nemiche dal popolo americano, per spiegare che sono tornati quelli di sempre, l’establishment del nemico dei diritti della parte più debole della popolazione, continuando quindi a vestire i panni del vendicatore del popolo dimenticato nonostante tutta la sua storia personale sia quella di uno speculatore dell’edilizia senza scrupoli che ha aggirato le leggi dello Stato, che ha frodato il fisco, che paradossalmente si erige a difesa del popolo pur essendo indagato per tutta una serie di abusi commessi di interesse nazionale.
Continuerà ad agire su due livelli, nelle piazze farà la guerra al nuovo presidente spiegando che si tratta tutto sommato di un presidente abusivo, ma in via molto riservata affida ai suoi familiari il compito di trattare con l’entourage del nuovo presidente eletto per garantirgli adeguate forme di protezione sia con riferimento al buon andamento dei suoi affari privati sia con riferimento alle molte inchieste in corso sul suo conto per comportamenti che riguardano la sua vita privata e la sua vita pubblica. E’ infatti prevedibile che Trump dovrà fare i conti con la giustizia non appena uscirà dalla Casa Bianca per rispondere di frode fiscale e molestie sessuali.
Che America si troverà di fronte il nuovo presidente?
Nonostante la vittoria di Biden gli Stati Uniti sembrano spaccati in due parti che si equivalgono e il trumpismo proseguirà, provocando seri danni agli americani nel prossimo futuro. Credo che il più grave errore di Trump sia stato quello di avere lacerato la società americana indebolendo quel clima di fiducia che è una delle virtù principali della democrazia americana.
In tal senso, pare questa la ragione per cui alcuni leader repubblicani non lo hanno votato. Anche la sua dichiarazione con cui annuncia di volersi ricandidare nel 2024 sembra più che altro patetica, perché non è mai successo che nessun candidato sconfitto appena dopo il voto chiede la rivincita.
A Biden tocca ora il compito assai difficile e complesso di pacificare la nazione e di rimettere in moto una politica estera che ha prodotto strappi e che è risultata priva di qualunque moralità e di una precisa strategia delle alleanze. Deve ripristinare un equilibrio tra i poteri profondamente alterato dalla confusione che il presidente uscente ha fatto tra il governo presidenziale americano che si fonda sul principio del potere limitato ed il presidenzialismo che, invece, vige in alcuni paesi sudamericani. Non era mai accaduto che tutti gli osservatori politici, le grandi testate, abbiano preso posizione contro un candidato Presidente, meno che mai contro un presidente uscente.
Perché i media hanno isolato Trump?
Perché costituiva un pericolo per la pacifica convivenza, perché, era inadeguato a guidare una grande potenza, perché aveva lacerato i rapporti con i paesi da sempre amici degli Stati Uniti, perché svolgeva un’opera nefasta nei paesi sudamericani cercando di promuovere tutti i movimenti antidemocratici.
Tenuto conto di tutto ciò ben si comprende perché anche organi di informazione conservatori da sempre amici repubblicani hanno osteggiato il presidente americano uscente, peraltro in linea con quanto hanno fatto alcuni settori del partito democratico che alla luce del sole hanno dichiarato di non poter votare Trump per molte ragioni ma soprattutto perché confondeva il principio maggioritario con la dittatura della maggioranza.
Trump dopo la scelta di contestare il risultato elettorale, di non riconoscere il vincitore si è enormemente indebolito anche presso quei settori conservatori dell’opinione pubblica che volevano dare una lezione al partito democratico di Clinton ed Obama che vogliono una distribuzione della ricchezza che privilegia chi ha di più. Ma di fronte alla prospettiva di un ritorno del razzismo vecchia maniera con le città messe a ferro e fuoco dagli scontri tra chi ancora aspira ad imporre la segregazione razziste e la gente di colore, di fronte alla paura suscitata dalle violenze esercitate dalla polizia alle quali inneggiava Trump, insomma di fronte alla prospettiva di una frattura sociale permanente hanno preso posizione ritenendo giustamente che non era in gioco una linea politica ma era in gioco un modo di intendere la democrazia, la coesione nazionale, insomma la stessa pace sociale.
Che Presidente sarà Biden?
Biden è un uomo che conosce benissimo il sistema istituzionale americano, ha molti interlocutori a livello internazionale che ha fatto una carriera politica dove le luci prevalgono nettamente sulle ombre, un uomo portato a mediare, che sin dal 1972 ha fatto politica nel suo stato con un eccellente rapporto con le popolazioni dal suo territorio, il Delaware, che è riuscito ad avere il sostegno dei leader del partito democratico, riuscendo a tenere insieme progressisti e moderati, ma che si batte per una politica sociale molto avanzata soprattutto sul terreno fiscale e sul terreno della protezione sociale.
Biden ha svolto un accorta campagna elettorale rendendo un grande servizio al suo Paese e al suo partito. In modo particolare il partito democratico, si è riconciliato con l’America degli emarginati, degli operai impoveriti dalla crisi che erano stati sedotti e attratti dalle violente invettive di Trump contro l‘establishment democratico. Il nuovo Presidente
potrebbe rappresentare un esempio da emulare per una sinistra di governo che in Europa, essendo da anni impegnata ad ottenere il sostegno dell’elettorato moderato, ha sostanzialmente perso quello progressista che dovrebbe essere tradizionale alla propria identità.
Riuscirà a evitare questa spaccatura adesso un presidente moderato come Biden ?
Credo di sì, credo che riuscirà ad avere un’efficace interlocuzione con l’opinione pubblica in un momento così difficile come quello che stanno vivendo gli Stati Uniti a causa dell’emergenza sanitaria. Ha già annunciato misure che sono necessarie per far ripartire paese ma anche per rafforzare il sistema sanitario così da potere guidare gli Stati Uniti verso approdi sicuri.
È quello che adesso occorre agli Stati Uniti, un grande processo di pacificazione interna e la ricostituzione di un’immagine rassicurante a livello internazionale. Biden non avrà magari le doti di un leader carismatico che rilancia il sogno americano. Non possiede le stesse capacità di leadership di Kamal Harris, giovane e donna, però il nuovo Presidente sembra in grado di rendere più giusto ed equilibrato il suo paese attraverso le necessarie riforme e di sapere correttamente veicolare il valore della democrazia ricreando una forte solidarietà tra i paesi occidentali.
L’America, duramente colpita dalla pandemia, ha bisogno di questo. Ma di ciò ha bisogno anche il mondo occidentale abituato a guardare agli Stati Uniti come ad una potenza amica che non si chiude in se stessa come una fortezza assediata ma che sia aperta a forme di collaborazione sempre più evolute con il mondo occidentale.