La guerra sta distruggendo sogni, speranze e quotidianità di milioni di Ucraini e abitanti del Donbass da ormai oltre due mesi.
Man mano che passano i giorni, con il campo che non dà un verdetto chiaro e le parti ancora molto distanti tra loro nei negoziati, si allontana la possibilità che Putin, come da molti ipotizzato, possa dichiarare una anche simbolica vittoria il 9 maggio, nell’anniversario del trionfo sul nazifascismo.
Sarebbe veramente cinico e irrispettoso, davanti alla devastazione che abbiamo sotto gli occhi, parlare di vincitori e vinti.
Perché gli Stati restano un insieme di individui e in guerra i semplici cittadini sono tutti sconfitti; sia che abbiano perso quasi tutto, o un caro partito al fronte, o che patiscano i contraccolpi delle sanzioni economiche.
Sono i governi di quei paesi, a prendere decisioni che ritengono possano far guadagnare loro vantaggi tattici o strategici. Decisioni che, se non ponderate bene, possono però rivelarsi una catastrofe anche per questi ultimi.
Ucraina e Russia sono, rispetto al conflitto, ancora entrambe nella possibilità di raggiungere dei propri obiettivi, e rischiano al tempo stesso una terribile sconfitta.
Va premesso che, rispetto ai famosi “6 punti” presentati a Zelensky (Riconoscimento di Crimea Russa e Donbass, Bilinguismo, Denazificazione intesa come consegna degli appartenenti ai battaglioni di estrema destra ricercati in Russia , Smilitarizzazione e Neutralità), gli obiettivi del Cremlino sembrerebbero essere cambiati radicalmente.
Se prima le rivendicazioni territoriali si limitavano alla parte dei territori amministrativi degli Oblast di Donetzk e Luhansk ancora nelle mani dell’esercito di Kiev, adesso gli obiettivi di Putin sembrerebbero prettamente di natura territoriale.
La teoria della presa della Capitale Kiev con conseguente regime change è, a mio giudizio, priva di fondamento e viziata da quello che è diventato il nostro modo di intendere la guerra.
L’Occidente fa le guerre per cambiare i governi. La Russia, paese europeo ma non occidentale, fa le guerre per cambiare la politica di quei governi.
Anche durante il conflitto con la Georgia i Russi occuparono Gori per poi ritirarsi alla fine della breve guerra. La presa di Kiev sarebbe stata una formidabile arma negoziale per indurre Zelensky alla capitolazione.
Come ben sappiamo, quell’obiettivo non è stato raggiunto, anzi i Russi hanno abbandonato una zona, appena occupata, grande quasi quanto il Nord Italia.
L’Obiettivo odierno sembrerebbe invece essere la chiusura del Mar Nero, con conseguente stop all’export diretto via mare e distruzione definitiva dell’economia ucraina, già fiaccata dai danni del conflitto e dai conti sempre più salati per gli armamenti.
Chiusura che permetterebbe la creazione di un collegamento terrestre tra Russia, Crimea e Transnistria. I 1500 militari di guardia al deposito di Cobasna, senza rifornimenti e collegamento con il loro paese dal 2015, potrebbero finalmente tornare a casa.
Mosca ha perso un numero impressionante di uomini, mezzi e alti ufficiali. Rischia di indebolirsi molto nel Caucaso, in Medioriente e in Asia Centrale.
Dove soprattutto Turchia e Cina potrebbero far pesare molto il ruolo di mediatori, il non aver partecipato alle sanzioni e, nel caso di Pechino, l’aver continuato a sostenere il proprio alleato.
Le ricadute in Europa saranno ancora più gravi, con il probabile ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO e un isolamento destinato, probabilmente, a durare diversi anni. Per non parlare della riduzione dell’export di idrocarburi verso il mercato europeo.
Kiev si sta difendendo tenacemente. Ha inflitto diverse battute d’arresto alla Russia e anche conseguito degli obiettivi impensabili.
L’impressione è che a fronteggiarsi siano due eserciti di due epoche diverse. L’Ucraina ha dimostrato di disporre di un esercito moderno, tenace e sicuramente più motivato.
Kiev sta diventando una calamita per i dissidenti e antirussi di tutte le province ed ex provincie del fu Impero Sovietico.
Battaglioni di integralisti ceceni, dissidenti bielorussi e volontari georgiani lottano per l’Ucraina dai primissimi giorni.
Se la motivazione dell’esercito è sicuramente alta, non si riflette abbastanza su quella dei civili. Parliamo di gente che fino a due mesi fa aveva un tetto, elettricità, cibo, acqua calda, auto.
E si ritrova adesso a vivere senza niente in mezzo alle macerie. I Russi, al massimo, devono sopportare qualche scaffale vuoto.
Eppure si ragiona soltanto sulla loro tenuta psicologica. La possibilità di ritrovarsi con una potenza militare con un economia in piedi ai propri confini è lo scenario peggiore per Mosca, che non ha alternative adesso, se non quella di annientare l’economia ucraina per ridimensionarne le forze armate.
Non è detto che ci riesca, ma perseguirà il suo obiettivo con ogni mezzo, disposta ancora a sopportare costi molto alti.
Zelensky ha rifiutato di trattare partendo da condizioni ben più lievi, rispetto allo scenario devastante a cui il suo paese rischia ancora, nonostante i successi militari, di andare incontro.
Quanto ai civili, dopo due mesi di guerra si vedono sempre meno cortei con bandiere ucraine a fronteggiare i battaglioni russi.
Sono stati, nei primi giorni di conflitto, l’arma più potente nelle mani di Zelensky. Anche i capannelli festanti con le bandiere delle Repubbliche Popolari sono molto meno corposi di quelli che si vedevano 8 anni fa.
Sempre più Ucraini vogliono solo che questa carneficina termini. E per i civili, evidentemente, la mia impressione è che diventerà sempre più irrilevante il lato del confine su cui andrà a finire il proprio villaggio o la propria città. Purtroppo, la fine di tutto questo non dipende da loro.