Home In evidenza Intervista a Claudio Fava, in pole position per la guida della Regione siciliana: “Il cambiamento è possibile dopo gli anni bui di Musumeci”

Intervista a Claudio Fava, in pole position per la guida della Regione siciliana: “Il cambiamento è possibile dopo gli anni bui di Musumeci”

by Rosario Sorace

Sbaglia clamorosamente chi ritiene che Claudio Fava deve la sua notorietà al fatto che fosse il figlio di Pippo, il grande giornalista fondatore della straordinaria esperienza editoriale dei “Siciliani”, ucciso dalla mafia a Catania.

Mentre è assolutamente evidente che Claudio ha seguito le orme paterne ereditandone l’autorità morale e divenendo altresì un infaticabile e originale animatore di mille iniziative nel campo editoriale come giornalista, scrittore e sceneggiatore.

Infatti ha aggiunto a tutto ciò anzidetto l’indiscutibile carisma di cui è dotato e la fama di politico preparato e raffinato che si batte con coerenza e intransigenza per affermare la cultura della legalità e la trasformazione sociale della Sicilia.

Adesso si gioca la carta alle primarie del centro sinistra per la designazione del candidato che correrà alla guida della Regione.

Il confronto è aperto ed è stata attivata in tal modo la partecipazione democratica. In prima battuta Fava dovrà superare la prova della consultazione popolare che si terrà il 23 luglio dove tenterà di aggiudicarsi il più ampio consenso dei cittadini.

Fava ha iniziato da più di un mese a girare il lungo e largo l’isola incontrando la gente, confrontandosi con i cittadini, andando nelle scuole, ponendosi da interlocutore di un cambiamento possibile.

Con il movimento Cento Passi è riuscito ad essere un oppositore intransigente e concreto al governo regionale di Nello Musumeci.

In questa legislatura che sta per chiudersi ha ricoperto l’importate carica istituzionale di Presidente della Commissione antimafia facendo uscire dal grigiore a cui era relegato tale organismo e illuminando con inchieste molto pregnanti e profonde i tanti punti oscuri delle stragi del 1992 in Sicilia.

Il suo impegno si è dispiegato su vari aspetti sociali e sulle problematiche irrisolte, nutrito com’è da una cultura molto profonda e da un’intelligenza versatile.

Oggi si misura ancora una volta per restituire alla Sicilia quella dignità necessaria per sfatare vecchi luoghi comuni sulla realtà isolana ancora oggi difficili da scrollarsi.

L’ennesima sfida della tua vita avviene a quasi trent’anni dal ballottaggio al Comune di Catania che hai affrontato con Enzo Bianco. Cos’è cambiato in Sicilia da quell’epoca?

Quella stagione di “risveglio”, annunciata da un grande cambiamento sociale e da una rinnovata consapevolezza dei diritti, è andata pian piano diluendosi, lasciando spazio ad un ritorno al passato e ad una drammatica disaffezione per la politica, così come testimoniano le percentuali di astensionismo.

La Sicilia di oggi è ancora vittima di una serie di meccanismi e logiche clientelari, nonché di una certa confortevole rassegnazione.

Per estirpare tutto questo è necessario essere credibili, non con gli slogan e le belle figurine, ma con una pratica di lavoro quotidiana e, soprattutto, coinvolgendo tutte e tutti, a partire dai più giovani, nella progettazione e nella costruzione di un nuovo futuro per questa terra.

Hai lanciato accuse precise a Musumeci in ordine all’immobilismo della Regione Siciliana che, comunque, non è solo addebitabile al suo governo bensì anche all’Assemblea Regionale che ha prodotto poco e nulla. Come dovrebbe rilanciarsi lo spirito dell’autonomia speciale?

Musumeci ha trattato il Parlamento siciliano come se fosse un elemento di mero ornamento, mortificando maggioranza e opposizione. Rispondendo alla domanda, sono poco affezionato al tema “statuto”.

La questione “specialità” ha negli anni assunto il ruolo di paravento giustificativo rispetto a specifiche responsabilità politiche dei vari governi che si sono succeduti. Abbandonare questo tipo di atteggiamento sarebbe già un buon punto di partenza.

Alla fine legislatura sono ancora perduranti le emergenze ataviche dell’Isola: rifiuti, acqua, trasporti, ambiente, disoccupazione. Che idee hai maturato per superare queste gravi criticità?

Sono necessarie delle riforme strutturali, radicali, coraggiose e, soprattutto, connesse e coerenti con le indicazioni che arrivano dal progresso scientifico e tecnico.

Per questo diventa cruciale investire concretamente nell’innovazione. In Sicilia abbiamo numeri incoraggianti sul numero e sullo score delle startup innovative. La buona politica è anche ascoltare e tradurre le loro idee, supportandole adeguatamente.

Musumeci viene attaccato dalla sua maggioranza e subisce il sarcasmo in pubblico dei comici Ficarra e Picone, e poi anche fischiato dai presenti a Taormina. Pensi che ormai sia prossimo il suo ritiro dalla competizione e la destra siciliana riuscirà a ricomporsi superando il marasma in cui versa?

L’episodio di Taormina è l’ulteriore certificazione della fine dell’esperienza governativa di Musumeci. Che di tale evento ne sia stata poi cancellata traccia è un fatto inaccettabile sul quale siamo prontamente intervenuti con una nota indirizzata alla Presidenza della Commissione Bicamerale presieduta dal senatore Barachini.

Lo strumento della consultazione popolare è una modalità di partecipazione dal basso. Intanto hai girato l’Isola incontrando migliaia di cittadini. Quali sono gli umori della gente a pochi mesi dal voto?

In questi giorni sono in giro per la Sicilia in vista delle primarie del fronte progressista che si terranno il prossimo 23 luglio.

C’è molta rabbia: per le strade invase dalla spazzatura; per i tempi interminabili di attesa per fare un esame medico; per la drammatica condizione in cui versano le periferie dell’Isola.

Allo stesso tempo, però, c’è anche un forte desiderio di partecipazione e di protagonismo. In questo senso è straordinariamente importante il fatto che il voto alle primarie sia stato aperto anche ai sedicenni. È un segnale bellissimo che non può non far sperare.

Il tuo lavoro alla Presidenza dell’antimafia regionale ha aperto squarci di conoscenza e testimonianza nella lotta a Cosa Nostra. Il bilancio di questa esperienza qual è?

È un bilancio assolutamente positivo: 12 relazioni approvate all’unanimità e due disegni di legge presentati. Un lavoro straordinario che ha riguardato ambiti diversi tra loro, ma legati da un fil rouge: l’uso distorto del “potere”: dal sistema sanità a quello dei rifiuti, da quello delle partecipate a quello “Montante”. È un’eredità importante che mi auguro non vada perduta.

Sei stato molto netto nel prendere posizione sugli endorsement dei condannati per mafia ad alcuni candidati e questa è una polemica destinata a durare. Non ti sembra però che il tema resta sempre quello dell’incapacità della politica di rinnovarsi liberandosi dei politici compromessi con le cosche?

È necessario riportare al centro del dibattito politico la questione morale, con un appiglio serio e concreto che vada ben oltre la liturgia da convegno commemorativo.

E ciò significa partire da un presupposto: ad offendere la questione morale non sono tanto i condannati, quanto chi ne legittima, in nome del consenso, la loro “necessarietà”.

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