Di Eugenio Magnoli
La strage di Civitella fu uno degli eccidi più feroci compiuti dalle truppe naziste e avvenne il 29 giugno 1944.
Tra Civitella in Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio di Bucine, in provincia di Arezzo, furono ritrovati 244 civili morti.
Quella mattina del lontano 29 giugno il centro del paesino toscano era pieno di persone in occasione della festività di San Pietro e Paolo. In molti erano andati a messa nella chiesa di Santa Maria Assunta.
Ma mentre il parroco celebrava la funzione, dal comando tedesco arrivarono tre squadroni. Il primo si recò a Cornia, un altro a San Pancrazio e un terzo, il più grande, si riversò nel centro di Civitella.
La crudeltà di quei fatti ci viene narrata con una ferocia inaudita. Quando i tedeschi arrivarono nel paesino fecero fuoco sugli abitanti a prescindere dal sesso o dall’età.
L’episodio più sconcertante si consumò nella chiesa, mentre si stava celebrando la messa. Entrati nell’edificio sacro, i tedeschi divisero i fedeli in piccoli gruppi e, indossati i grembiuli mimetici in gomma per non sporcarsi di sangue, freddarono i credenti con dei colpi alla nuca.
Dopo l’agguato alla chiesa, i tedeschi ebbero l’ordine di bruciare le case di Civitella, provocando così la morte anche di coloro che avevano disperatamente tentato di salvarsi nascondendosi nelle cantine o nelle soffitte.
La crudeltà di quelle azioni provocò la morte di 244 morti: 115 a Civitella, 58 a Cornia e 71 a San Pancrazi.
Il tenente generale tedesco a capo dell’operazione, Schmalz, venne catturato nel maggio 1945 dalle truppe statunitensi e venne consegnato alle autorità italiane.
Il reato di concorso in violenza con omicidio continuato contro privati cittadini italiani, in relazione anche ad altri eccidi non venne perseguito e il militare venne assolto dal Tribunale militare territoriale di Roma, con sentenza del 12 luglio 1950.
Le vittime di quel giorno non ottennero mai giustizia e, infine, nessun pagò, se non in ritardo, per quegli orrendi crimini.