Sono giorni che prende piede la protesta di negozianti e ristoratori impegnati nell’iniziativa denominata #ioapro, prevista per venerdì 15 gennaio. La protesta vede coinvolti bar, ristoranti, palestre e tutte le attività al collasso: il tutto avverrebbe nel pieno rispetto delle regole (distanziamento, mascherine, gel).
Il nuovo Dpcm è alle porte e, con l’aspettativa di altre restrizioni, c’è chi non ci sta a subire ulteriori restrizioni e imposizioni da parte del governo. Così, alcuni ristoratori contestano il Dpcm sulla chiusura dei locali per cena se non per consentire l’asporto e la consegna a domicilio ai clienti. Lo fanno con una protesta pacifica, una sorta di “disobbedienza civile” che viaggia sui social con gli hashtag #ioapro e #nonspengopiùlamiainsegna. Tutto è nato da un appello lanciato su Facebook da Maurizio Stara, titolare del pub “RedFox” di Cagliari, che ha chiesto l’adesione dei gestori di altri locali in Italia.
“Non spengo più la mia insegna, io apro – si legge nell’appello -. La nostra è una protesta pacifica volta a dimostrare il nostro senso di responsabilità e la nostra capacità di rispettare e far rispettare le regole di prevenzione del Covid-19. Ai partecipanti è richiesto di accomodarsi al tavolo assegnato (non più di 4 persone per tavolo) e di rimanere seduti e composti. La mascherina andrà indossata per accedere al locale e per alzarsi per qualunque motivo. Una volta seduti potrà essere tolta, piegata e messa via. Non sarà possibile somministrare cibi e bevande, quindi consumarle in loco. Vi chiediamo di passare una mezz’ora con noi e di pubblicare un selfie con gli hashtag #nonspengopiùlamiainsegna e #ioapro taggandovi all’interno dal locale. Tutti i partecipanti verranno omaggiati con un piccolo ringraziamento d’asporto per la collaborazione. Grazie per il supporto”.
L’iniziativa prende piede in Sardegna e i locali che hanno aderito alla protesta pacifica hanno aperto normalmente per consegnare le pietanze da asporto e, come previsto dalla normativa anti covid, hanno fatto accomodare i clienti che attendevano di ritirarle per il tempo necessario ad acquistare i prodotti.
Tutti seduti al tavolo massimo in quattro, distanziati, come se dovessero consumare qualcosa al ristorante (ma in realtà i clienti dovevano solo portare via il piatto caldo ordinato per l’asporto). E poi ogni cliente ha pubblicato sui social una foto con gli hashtag #nonspengopiùlamiainsegna e #ioapro per dimostrare che si può stare seduti nei locali distanziati, senza che i ristoranti e le pizzerie debbano per forza rimanere chiusi.
“Da venerdì 15 (compreso), 50mila ristoratori apriranno in tutta Italia a pranzo e cena in barba a qualsiasi Dpcm illegittimo. I ristoratori hanno deciso di alzare la testa e tornare a vivere. Apriamo la nostra attività rispettando il distanziamento e le norme anti covid”, dice in un video pubblicato su Facebook in cui compare anche il personale del locale. Come lui altri ristoratori, dopo tanti mesi di chiusura forzata, hanno promesso “battaglia” sfidando il decreto del presidente del Consiglio dei ministri.
“Io credo che il governo farebbe bene ad iniziare la settimana controllando il territorio invece di massacrare un settore che invece è già di suo massacrato. È il caso di dire ‘basta’, la misura è colma. Se il governo vuole vedere centinaia di migliaia di persone che vengono in piazza a protestare verso modalità che sono incomprensibili, allora questo è il modo giusto. Non ne possiamo veramente più. Nessuno ci coinvolge e la mattina ci vediamo le notizie sui giornali”. Così Roberto Calugi, direttore generale di Fipe Confcommercio, l’organizzazione di categoria di bar, ristoranti e locali d’intrattenimento, commenta con Adnkronos/Labitalia l’ipotesi allo studio del governo dello stop all’asporto dopo le 18 per i pubblici esercizi.
“Ma il problema – sottolinea Calugi – è l’asporto dei bar e dei ristoranti dopo le 18? Mi viene da ridere… La questione è che se ci sono dei bar e dei ristoranti, come anche dei supermercati che sbagliano e non applicano le regole, chiudeteli. Ma non potete massacrare un’intera categoria in questo modo. C’è gente che si è tolta la vita, tanti non reggono più a livello psicologico, non si può scherzare sulla pelle delle persone in questa maniera”, rimarca amaro Calugi.
Secondo il direttore di Fipe la situazione degli esercenti è sempre più nera, anche dal punto di vista psicologico. “Noi diciamo che il governo deve pensare a controllare il territorio. Chi sbaglia paga ma non si può giocare sulla pelle delle persone, con annunci di questo genere che gettano centinaia di migliaia di persone nello sconforto. Senza minimamente ascoltare le associazioni di categoria. Siamo stufi di informazioni apprese dagli organi di stampa, non si sà a che titolo, e calate dall’alto”, prosegue.
Per il direttore generale di Fipe Confcommercio “è del tutto evidente che non sono i pubblici esercizi i luoghi del contagio, ma vengono visti come uno strumento per ‘spegnere’ le città e diminuire i movimenti. Ma non possono essere solo la ristorazione e l’intrattenimento a pagare il costo economico di questo disastro totale. Siamo parlando – sottolinea Roberto Calugi – di imprese in buon numero già fallite, di 300mila persone che rischiano di perdere il posto di lavoro. Noi ci auguriamo che il 2021 sia un anno di transizione, guardiamo all’evoluzione del vaccino e della cura, come unica vera modalità per tornare una normalità che tutti noi auspichiamo. Ma non è questo il modo di gestire né l’informazione, né le modalità di organizzazione del lavoro”, aggiunge ancora.
“Non siamo soggetti – attacca ancora Calugi – che possono aprire o chiudere a piacimento del governo, e senza il minimo coinvolgimento. Quello che ci sconvolge è aprire il giornale la mattina e leggere una notizia non confermata, non smentita. Che modo è? È una mancanza totale di rispetto per chi lavora. Siamo di fronte a una pandemia tragica e i pubblici esercizi stanno svolgendo un lavoro di grandissima responsabilità”, conclude.
Basta chiusure forzate da ‘regime’, è ora di tornare alla normalità; in un paese liberale già sarebbe proibitivo mettere in atto misure del genere, si figuri pensare addirittura di prolungarle: “É follia pura!
Si è avuto un anno a disposizione per prepararsi alla convivenza con questo contagiosissimo virus, ma non si può far pagare ai negozianti la mancanza di coordinazione e soluzione di Governo e Cts, non è colpa dei ristoratori se non si è avuto il coraggio di prendere determinate decisioni. Il rispetto della libertà di lavorare e prosperare è il fulcro di qualsiasi società, ed è almeno importante quanto la salute, bisogna smettere di pensare che sia un lusso per pochi. Avanti; si torna a lavoro!