Giuseppe Faravelli nacque nel 1896 da una famiglia borghese nutrito da un’educazione liberale. Si iscrisse in un primo momento in lettere a Pavia e partecipò alla prima guerra mondiale con il grado di sottotenente ottenendo due medaglie e rimanendo ferito.
Nel 1918 riprese gli studi in Legge e si iscrisse al Partito socialista insieme ad un nucleo di giovani che si distinsero nel campo politico e culturale. I suoi ideali coincisero immediatamente con quelle predicate e praticate dal padre del socialismo riformista Filippo Turati a cui si legò profondamente.
Dotato di grande concretezza fu un uomo colto e intelligente divenendo segretario della Federazione socialista e della Camera Confederale del lavoro del pavese. Fu direttore de “La Plebe”, consigliere comunale, infine componente della Giunta provinciale amministrativa di Pavia.
Laureatosi in Legge vinse un concorso indetto dal comune di Milano trasferendosi nella città meneghina. Nell’ottobre del ’22 aderì al Partito Socialista Unitario con Turati, Matteotti, Treves, collaborò a “La Giustizia” e a “Battaglie sindacali” diventando vice direttore de “La Libertà” e svolgendo un intensa attività di pubblicista. Dopo il delitto Matteotti e le leggi liberticide fasciste del 1926 si impegnò incessantemente nella sua qualità di dipendente del comune di Milano per aiutare gli antifascisti ad espatriare verso la Francia e la Svizzera.
Lavorò in clandestinità a fianco di aderenti al gruppo di “Giustizia e Libertà”, mantenendo contatti con antifascisti che immaginavano ancora che fosse possibile abbattere il regime fascista. Tuttavia Faravelli comprese ben presto che il fascismo si consolidava e decise di espatriare prima in Svizzera e poi in Francia. Naturalmente continuò a collaborare al “Nuovo Avanti!”, “La Libertà”, “L’Avvenire dei lavoratori”, “Libera stampa”.
Si oppose fieramente alla politica di unità d’azione tra i vari gruppi dell’antifascismo poiché assolutamente contrario all’adesione al Partito Comunista d’Italia. In tal senso entrò in contrasto con Pietro Nenni che invece sosteneva con determinazione il patto di unità d’azione tra il PSI e il PCd’I.
Faravelli fu assai lungimirante e lucido nel denunciare il carattere settario, antidemocratico del comunismo e sostenne sempre la politica antifascista nell’ambito di un’organizzazione autonoma dei socialisti. L’occasione della sigla del Patto Ribbentrop-Molotov, che venne sottoscritto nell’agosto del ’39, rafforzò la sua posizione per richiedere la rottura dell’alleanza.
Dopo l’invasione della Francia da parte dei tedeschi, Faravelli fu rinchiuso nel campo di concentramento di Vernet e rischiò di essere consegnato alla polizia fascista. Fu liberato e poi nuovamente arrestato e in questa occasione fu consegnato ai fascisti che lo condannarono a 30 anni di reclusione.
Nel settembre del ’44 evase e si rifugiò in Svizzera. Riprese l’attività politica per conto del Partito socialista quando finì l’occupazione nazifascista e si collegò con Ugo Guido Mondolfo per ripristinare “Critica sociale”, l’antica e gloriosa rivista di Turati.
Coerentemente con le sue posizioni in Direzione Nazionale del Partito, contrastò la politica di unità coi comunisti e il “patto di unità d’azione” tra i due partiti. Aderì al Psli divenendo componente della segreteria e poi direttore, de “L’Umanità”. Dopo condivise le idee di Giuseppe Saragat, trovando dissenso però nella proposta di adesione al Patto Atlantico.
Divenne consigliere comunale e assessore a Milano, proseguendo con passione nella sua attività giornalistica a “Critica sociale”. Fu un grande riformista lottando alfine per realizzare su questa base l’unificazione di tutti i socialisti . Dopo un periodo di militanza al MUIS con Zagari, Matteotti e Vigorelli, rientrò nel 1959 nel PSI, nel momento in cui questa formazione politica aveva abbracciato l’idea chiava della sua vita che era sempre l’ autonomia socialista.
Sostenne la fusione tra il PSI e il PSDI rimanendo nel Partito Socialista Italiano quando avvenne la rottura. Morì nel giugno del 1974.