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I dodici mesi del governo Draghi

by Maurizio Ciotola

Quella di determinare una mutazione dei vertici in un’organizzazione politica, sociale o aziendale a intervalli più o meno costanti e soprattutto ravvicinati, è una vecchia quanto efficace tattica.

Vengono congelati i processi in itinere, ritardati o annullati quelli prossimi all’avvio, in un bailamme di annunci o interpretazioni sui media, che agli occhi della società serviranno a riempire il vuoto temporale.

Del resto non poteva che accadere ciò che tutti hanno sempre saputo, ovvero trovarci di fronte a un vuoto temporale, seppur avvolto da euforie di imminenti rivoluzioni.

Il Presidente Draghi, cui va la nostra stima, ha fatto un salto significativo, passando da metodologie e organizzazioni, nel loro contesto lineari e gerarchizzate, per intraprendere il ruolo di chi non si potrà muovere con analoga linearità.

Tanto meno potrà pensare o imporre una gerarchizzazione delle azioni o delle informazioni, visto che istituzionalmente il Presidente del Consiglio è comunque un primus inter pares.

Si aggiunga che tra poco meno di un anno, il Parlamento sarà chiamato a eleggere il Presidente della Repubblica, e in questo brevissimo periodo rimanente in cui il Governo potrà muoversi, l’esecutivo riuscirà a malapena a governare le questioni correnti, nulla di più.

Affari correnti che potranno assumere una indeterminatezza a causa della litigiosità di una maggioranza eterogenea e in se contrapposta, senza precedenti analoghi nella storia repubblicana.

Ecco se dovessimo intravedere una “strategia” nell’azione di Renzi, la potremo trovare nell’avviare al fallimento l’esperienza del governo Draghi, con lo scopo di creare un vulnus per la sua elezione alla presidenza della Repubblica.

Ovviamente nulla di tutto ciò ha un fine utile per il Paese, per la popolazione e per la sua azione produttiva, se non che è mediocremente fine a se stesso. Dobbiamo essere obiettivi e analizzare il tempo che rimane a questo esecutivo appena varato.

Dopo i primi mesi, in cui, tra la nomina dei sottosegretari, dei capi di gabinetto e staff conseguente, dell’assunzione del controllo dei dicasteri, a parte quelli immutati ai loro vertici, che non necessariamente rimarranno tali negli incarichi di sottogoverno, il tempo restante sarà esiguo e insufficiente, per qualsiasi avvio verso una necessaria transizione industriale e economica del Paese.

La staticità “assicurata” dall’azione di Italia Viva, costituirà un ulteriore condizione di arretratezza per il Paese e soprattutto priverà le nuove generazioni del loro futuro, se non fuori da esso.

Del resto non è pensabile che un solo uomo, per quanto insigne e di altissimo profilo, sia in grado di mutare un sistema strutturato su una risposta clientelare, cui la rendita e il parassitismo feudale costituiscono le colonne principali.

Forse è ancora troppo presto per dichiarare il prossimo fallimento di un governo risultante da forze contrapposte, ma è sicuramente troppo tardi per pensare che un simile governo, riesca in poco meno di dodici mesi a tracciare le linee del cambiamento necessario.

L’erosione del prestigio del Presidente Draghi è l’obiettivo di alcuni, nonché dello stesso Renzi e di coloro che osteggiano la necessaria messa a sistema del salto di paradigma in corso.

In una maggioranza come l’attuale senza alternative possibili, per cui l’ininfluenza di Italia Viva ha determinato il peso irrinunciabile di un liberismo d’antan senza sbocchi, Draghi sarà costretto a immobilizzare la macchina economica del Paese, piuttosto che vederla imboccare strade non più percorribili.

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