Si tratta di clamorosa ingenuità quella che Matteo Renzi ha dimostrato nel suo nobile discorso in Senato, così come si tratterà di ingenuità quando finalmente si farà chiarezza sulla sua vicenda e sulla ventata di polemiche che si sono sollevate in questi giorni circa la sua fondazione e dintorni.
Ricordiamo soltanto
che il finanziamento ai partiti è nota dolosa in questo paese e di leggi se ne
sono succedute diverse, fino alla totale abolizione del finanziamento pubblico
con la legge
Severino
del 2012 che introdusse l’ art. 346-bis nel codice penale sul traffico di
influenze, anno stesso
dell’apertura
della Fondazione Open di Matteo Renzi.
Senza entrare in
merito alla questione, di cui sarà certamente la magistratura ad
occuparsene, Matteo Renzi ha colto però
l’occasione per aprire un dibattito che merita tutta l’importanza e
l’attenzione dovuta.
Cita in aula il
famoso discorso che pronunciò Bettino Craxi il 3 Luglio del 1992 e cita lo
scandalo Lockheed del 1977 quando fu proprio Moro a denunciare in aula i “processi
alla politica portati in piazza”.
Bobo Craxi in un suo
post Facebook, ripreso poi dalla stampa,
con puntuale onestà intellettuale incoraggia Renzi e fa notare che l’ex premier
è stato il primo ex capo di governo ad aver avuto il coraggio di riportare
quelle parole in Parlamento dopo 25 anni, parole che restano di stringente
attualità.
Aggiunge altresì
che “ La crisi è del sistema politico, e il potere giudiziario finisce per
accelerarla”.
Renzi coglie il
tema della crisi di sistema, ma non può risolverla.
Egli è una delle
cause, benché se ne apprezzi il gesto di oggi.
È vero, “nel vuoto,
tutto si logora, si disgrega e si decompone”, e fu proprio Bettino Craxi a
dirlo quel giorno dell’estate 1992.
E ci sarebbero molti passi indietro da fare e molte considerazioni sui contesti in cui tali parole venivano pronunciate.
Sono i contesti
che fanno la grammatica in questo analfabetismo politico attuale in cui stiamo
decedendo.
Allora sottolineamo
con energia un nuovo punto di partenza:
la democrazia
liberale è in crisi.
Sappiamo che lo è
da tempo.
Ma la democrazia sarà sempre
possibile, perché gli uomini sono capaci di bene
ed sarà sempre necessaria perché sono capaci di male, come diceva Pietro
Scoppola nello stesso 1992.
È in crisi la
democrazia però non nella fattispecie per i finanziamenti che riguardano la Fondazione
Open, ma lo è perché da decenni viviamo in una costante e lentissima
destrutturazione della politica e delle istituzioni in seno ad essa.
Renzi si chiama
parte in causa, dicendo di voler “assolvere” alla responsabilità che sente gravare sulle sue spalle in quanto ex
premier e quindi ancora più coinvolto in
questa responsabilità data la carica ricoperta nel recente passato: la difesa
della separazione dei poteri, per la democrazia liberale, che lui oggi denuncia
in Senato essere minacciata.
Fu Craxi a dire
negli ormai lontani anni novanta che la politica era cambiata in peggio e a
parlare di screditamento della politica, di una magistratura che con i media
costruivano il consenso popolare.
Il consenso, la
propaganda, sono stati strumenti per rivoluzioni non sanguinarie.
Renzi ripete le
stesse parole, i media con la politica –dice- montano ad arte le congiure: “per
distruggere la reputazione di un uomo può bastare la copertina di una
settimanale”.
Ma Renzi sa che
anche con quelle copertine si è costruito la reputazione.
Le tangenti poi legate
allo scandalo Lockheed, fanno capo ad un’ intricata vicenda a livello
internazionale che coinvolgeva i più alti vertici della difesa di molti paesi,
da allora furono anche varate legge ad hoc negli Stati Uniti perché questo non
si ripetesse e non si continuasse con processi in piazza che avrebbero potuto
soltanto infangare il clima politico e la sua credibilità.
D’altro canto, lo
scandalo Tangentopoli, ha visto in Bettino Craxi il perfetto capro espiatorio
dopo che per dieci anni il Psi aveva tentato di ricostruire tutto ciò che si
era andato frantumando nel sangue, dalla Strage di Piazza Fontana all’omicidio
di Aldo Moro e nemmeno fino a lì.
C’è una storia che
parla, di un’Italia che ha sofferto e che con indescrivibile coraggio ha
cercato di servire lo Stato a costo della libertà se non della vita.
Una storia che ha
nutrito gli ideali di questo paese, ma che oggi sembra essere dimenticata.
Ecco, oggi ci
accorgiamo in Senato che la democrazia è in pericolo.
Ecco, Renzi
pronuncia delle parole importanti, sulle quali, se soltanto si volesse, si
potrebbe ricostruire l’educazione civica di questo paese.
Usare piccoli
argomenti per grandi discorsi, o grandi discorsi per piccoli argomenti, non
rende allo Stato lo spessore che questo gigante impegno chiama in causa per
assolvere tali responsabilità nei confronti di una democrazia liberale che va
difesa nel rispetto dei valori del Paese che si fonda sulla separazione dei
poteri.
Fu sempre quel
riluttante buddista di Craxi a dire profeticamente che il secolo XIX è stato il
secolo della legge, il XX dell’esecutivo e che il XXI sarebbe stato quello dei
giudici.
È vero Renzi, gli oggetti ci sopravvivono, come le copertine dei settimanali, ma sono i libri a parlare di storia che restano a monumento delle gesta di quegli angeli della politica che in testa hanno solo lo Stato e lo Stato è un concetto collettivo che va oltre gli stessi leaders.
Ci sono poi “mani
invisibili” e “poteri occulti” che hanno tentato di fare del nostro paese il
terreno di guerra di interessi per procura. Ci sono poi le ottusità della gente
(come la chiami tu, noi preferiamo “popolo di cittadini”) che non riescono a cancellare dalla loro mente
quell’impulso ormai fattosi inconscio di vedere che la politica è solo
sporcizia e menzogna. E la politica si è fatta cliché.
Inoltre Moro e
Craxi appartengono ad una classe politica che nell’intento di coniugare i saldi
valori di questa Repubblica tentavano di riformarla per svincolarla dalle
grinfie di chi ha sempre visto nel nostro paese soltanto una preda da spolpare.
“Le parole non sono
un sistema neutrale di codici, sono e rappresentano la filosofia della vita.
Nella storia è sovente capitato che la fine delle idee sia passata
inevitabilmente attraverso parole che non erano portatrici di idee”. B.C.
Spesso si è parlato
di “falsa rivoluzione”. Forse due se non tre volte è accaduto che il paventato
cambiamento abbia solo peggiorato le cose e che di nuovo non sia mai accaduto
nulla.
Con Italia Viva
nulla può accadere. Per ricostruire non si guarda al domani, ma a ciò che potrà
accadere fra venti o trenta anni. Oltretutto i piccoli partiti possono essere
oro, ma quando incarnano l’espressione di una identità, di una tradizione, di
una specificità, di una diversità, non la figura di un leader o di una
ulteriore burocrazia politica consolidata. Gli attacchi epilettici della
politica degli ultimi venticinque anni hanno soltanto visto molti governi, alla
rincorsa dietro quello o l’altro consenso, ma totale stasi ideologica. Non ci
possiamo più permettere calcoli di poco conto.
Sarà necessario
fare i conti con la storia, ed insieme nel rispetto, ricostruire da queste
macerie.
La chiarezza si
farà quando si capirà che oltre a citare Vangeli in aula, da questo blocco
sbozzato che siamo diventati tutti, riusciremo a liberare dalla materia un
paese davvero nuovo, estraendo quella immagine di noi che ci rende unici nella storia
del mondo.
La causa è
ingiusta, ma è debole. Il coraggio sta nel decentrare il potere non di
accentrarlo. Potrebbe suonare come un paradosso, ma l’arte della politica starà
tutta nel restituire alla comunità la sua nobile identità.
Lungo è l’esilio
fra spergiurate genti, avrebbe detto il Foscolo.