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Le ombre “nere” sulla carriera di Mario Mori

by Rosario Sorace

Oltre ai fatti noti e risaputi nel passato del generale Mario Mori, ex comandante dei Ros ed ex capo del Sisde, ci sono vicende pregresse non chiarite quando tra il 1972 e il 1975, da giovane ufficiale dei carabinieri, lavorava al Sid e improvvisamente gli fu intimato l’allontanamento da Roma.

Risulta che alla fine del 1975 e sino al 1978 i vertici del Sid (il vecchio Sismi) allontanarono Mori da Roma con un preciso divieto di dimora.

Sono documenti e informazioni riservate top secret che erano custodite negli archivi dell’Aise, l’Agenzia Informazioni per la sicurezza Esterna e che sono andati a confluire nel procedimento della trattativa tra lo Stato e mafia “arricchendo” di interrogativi inquietanti l’excursus professionale del generale.

Dunque, nel 1972 l’allora giovane capitano dei carabinieri Mori entra nei servizi sulla base dell’interessamento del colonnello Federico Marzollo, carabiniere molto vicino a Vito Miceli, direttore del Sid fino al 1974, trovato poi iscritto alla loggia massonica P2.

Marzollo sponsorizzò Mori portandolo al Sid e spinse il giovane capitano a legarsi profondamente al capo del Sid Miceli. Tra l’altro lo stesso Marzollo era stato allievo ufficiale del padre di Mori.

Dagli archivi dell’Aise risulta documentato che, negli anni di permanenza al Sid, Mori svolse funzioni operative con tanto di nome e documenti di copertura, riportando anche degli encomi importanti nel corso del ’73 e del ’74 per determinate operazioni.

Quindi Mori iniziò la carriera occupandosi di questioni legate al terrorismo di estrema destra e così gli vengono affidati anche incarichi delicati con un’identità falsa.

Mori al Sid, si occupò nello specifico di “contatti” con i terroristi neri, però, nel dicembre del 1974 il giudice istruttore di Padova, Giovanni Tamburino, che indagava sulla Rosa dei venti (organizzazione formata sia da militari con simpatie di estrema destra, da civili e da imprenditori con la funzione di finanziatori il cui scopo era il mutamento istituzionale anti comunista), aveva firmato un provvedimento giudiziario in cui richiese l’arresto per l’ex capo del Sid Vito Miceli e ad altri soggetti e nel contempo inviò al Sid una clamorosa e urgente richiesta con la quale si richiedeva la trasmissione all’Autorità Giudiziaria di Padova di un’immagine fotografica di Mario Mori senza ulteriori specificazioni.

L’inchiesta di Tamburino fece scalpore poiché aveva fatto arrestare, per l’indagine sulla Rosa dei venti, una personalità di vertice dei servizi segreti qual’era Vito Miceli.

Successivamente il 4 gennaio del 1975 l’ex generale Gianadelio Maletti, che era il numero due del Sid, scrisse di suo pugno una nota in cui richiese al direttore del Servizio facente funzioni, l’ammiraglio Mario Casardi, che poco dopo divenne direttore a tutti gli effetti, di allontanare Mario Mori dal Servizio “nel più breve tempo possibile”.

Il 9 gennaio Casardi emise un provvedimento in cui dispose l’allontanamento di Mario Mori dal Servizio con effetto immediato aggiungendo alla richiesta di Maletti un’ulteriore direttiva.

Pertanto Mori non solo doveva essere cacciato via dal Sid ma doveva anche essere urgentemente allontanato dal territorio della città di Roma. Una richiesta clamorosa, rara e inedita, resa ancora più pesante poiché viene accompagnata dal divieto a prestare servizio nella capitale.

Questa nota del Sid però viene recepita dall’Arma dei Carabinieri e, infatti, dopo il 1975 Mori venne spostato al Nucleo radiomobile di Napoli dove rimase per tre anni.

Successivamente nel 1978 l’Arma tenta nuovamente di destinarlo a Roma e apparve strano e irrituale che per attuare questo trasferimento di Mori si richiedesse un parere preventivo e positivo del Sid.

I vertici dei servizi segreti risposero che Mori non poteva rientrare in servizio nella capitale prima della fine del processo sul Golpe Borghese.

Siamo nel gennaio del ’78, nella replica si legge che “come da disposizioni impartite” c’è il divieto di trasferire Mori a Roma “fino alla fine della celebrazione del processo Borghese”.

Giunse poi la decisione della Corte di Cassazione che tolse al giudice Tamburino l’inchiesta sula Rosa dei Venti per affidarla al pubblico ministero romano Claudio Vitalone, magistrato da sempre molto legato a Giulio Andreotti.

Infatti sostennero i magistrati romani che le due indagini, Golpe Borghese e Rosa dei venti, erano da accorpare e da unificare poiché vi è una connessione tra i due procedimenti e in quanto tentativi di colpo di Stato organizzati dai militari che dovevano essere trattati in un unico processo.

A Roma gli imputati furono quindi assolti compreso il generale Miceli. Agli inizi del 1978 Mario Mori viene quindi restituito all’Arma di appartenenza in quello stesso anno il Comando generale dei Carabinieri scrive al Sid chiedendo se vi siano motivi ostativi al trasferimento di Mori a Roma.

A tutti gli effetti si tratta di una sorprendente anomalia in quanto Mori, dopo essere stato cacciato con tanto di abbassamento delle note caratteristiche, non ha più alcun tipo di rapporto con il Sid.

Per quanto riguarda Mori però l’Arma dei carabinieri decise di inviarlo a Roma nonostante i pareri contrari del Sid e fu nominato a capo della sezione antiterrorismo del reparto operativo.

Per una sorta di strano segno del destino Mori assunse il nuovo incarico il 17 marzo del 1978, il giorno dopo la tragica data del rapimento di Aldo Moro.

Le ragioni del suo momentaneo allontanamento da Roma sarebbero legati ai rapporti a dir poco “opachi” con il gruppo neofascista della “Rosa dei Venti” e con ordine nuovo.

Da qui quindi a suo tempo la richiesta del giudice Tamburino di una foto per poter procedere ad un riconoscimento poiché l’allora capitano Mori avrebbe partecipato a riunioni operative e preparative del gruppo eversivo.

“L’attività della Rosa dei venti – ha infatti spiegato il colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo nella deposizione sul processo Stato mafia  – in tutte le inchieste viene connessa al Colpo di stato del 1974, stesso anno in cui vi furono le stragi di Piazza della Loggia e dell’Italicus. In quell’anno vi fu una riunione a Cattolica all’Hotel Giada dove viene deciso l’impulso operativo delle attività di riorganizzazione di Ordine nuovo dopo lo scioglimento. Una riunione a cui partecipano anche elementi che lavoravano per il Sid”.

Giraudo ha riferito una dichiarazione di Umberto Zamponi, uno dei quadri più importanti della struttura di Ordine nuovo, che si sofferma su una partecipazione di Mori alla riunione.

Ritornando a Tamburino, però, non può procedere perché nel frattempo la Corte di Cassazione dà ragione alla Procura di Roma che già stavano indagando sul Golpe Borghese e che richiedeva l’unificazione dei processi Golpe Borghese e Rosa dei Venti.

La fototessera richiesta al Sid giunse a Tamburino, nel 1975, che naturalmente la inviò per competenza ai collegi romani.

Quindi Giraudo ha riferito alla corte di Palermo che la foto di Mori “non venne mostrata ad Amos Piazzi (ufficiale dell’esercito che stava rilasciando dichiarazioni su quel tentativo di golpe). Il documento che abbiamo recuperato dimostra che la foto era ancora spillata alla lettera in cui si scrive chi è il soggetto della fototessera”.

I magistrati romani che indagavano sul Golpe sono stati il dottor Fiore e come giudice istruttore Achille Gallucci, lo stesso che nella sua requisitoria, definita colorita, portò all’ assoluzione di alcuni soggetti della P2.

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