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I quartieri ghetto, i campi nomadi e la cittadinanza di serie Z

by Santino Spinelli

I quartieri-ghetto e i campi nomadi non dovrebbero esistere in una società civile, moderna ed evoluta. Il ghetto sancisce un’appartenenza e una condizione sociale che si imprime nella coscienza collettiva definendo di fatto una cittadinanza di serie A e una cittadinanza di serie B, i campi nomadi sanciscono addirittura una cittadinanza serie Z (zingari, con un carico dispregiativo).

In pratica si stabilisce una classificazione sociale che spesso diventa razziale essendo che nei ghetti e nei campi nomadi vengono destinati stranieri e cittadini indesiderati come i rom e sinti. Il ghetto o il campo nomade diventa luogo per esseri umani declassificati e per le fascine sociali deboli con tutto ciò che questo comporta a livello sociale, culturale, economico e politico.

Chi abita nel ghetto o nel campo nomadi viene etichettato e ha molte più difficoltà nell’inserimento scolastico, sociale ed economico. Spesso l’interazione delle fasce deboli avviene solo nel loro interno creando di fatto un circolo vizioso e fenomeni sociali deviati. Da parte delle istituzioni gli interventi sono quasi sempre a carattere assistenziale che influisce molto anche a livello morale e psicologico con conseguenze sul piano dell’autostima e della rassegnazione.

La disillusione diventa così nemica della società civile. È facile nel ghetto o nel campo nomadi acquisire la sindrome da ghetto che favorisce devianza, bullismo, violenza. In questi non luoghi si creano economie di sopravvivenza a discapito della società civile.

Ogni essere umano avrebbe diritto ad un alloggio non etichettato. Andrebbero incoraggiati lo studio e la formazione, le attività ludiche e sportive, gli eventi artistici e culturali, ma soprattutto andrebbero sostenute e agevolate il lavoro e le attività economiche. Tutto ciò eviterebbe che il ghetto o il campo nomadi diventasse un ricettacolo di attività illegali da cui è difficilissimo sottrarsi.

Il ghetto, e ancor di più il campo nomadi, sempre più giustifica una costante attività di supremazia sui più deboli a tutela esclusiva dei più forti e delle classi più abbienti, facilitando lo sciacallaggio attraverso il becero assistenzialismo. In sostanza il ghetto e il campo nomadi sono espressioni di egoismo allo stato puro e prevaricazione di ogni diritto minimo di sicurezza e di sopravvivenza, espressione di arroganza e di prepotenza che inevitabilmente viene restituita dalle vittime alla società civile come un fatale boomerang. Il ghetto e il campo nomadi sono i non luoghi o pattumiere sociali che stabiliscono la linea di confine fra la civiltà e l’esclusione.

Il ghetto e il campo nomadi imprimono una disparità sociale da superare e sottolineano un limite culturale prima che socio-politico. Evidenziano di fatto una situazione o condizione tale da circoscrivere e limitare lo sviluppo dell’attività delle persone o gruppi specifici e ne dequalifica l’incidenza sociale.

I campi nomadi sono forme orrende di segregazione razziale indegni di un Paese civile, espressione di un classismo antidemocratico e antisociale che andrebbero evitati e superati a vantaggio di tutta la collettività. Si spendono miliardi e miliardi di euro per assurdi armamenti ma non si spende abbastanza o si risparmia sulla pelle di cittadini inermi a cui arrivano solo progetti fasulli e inutili nonostante i milioni di euro sperperati.

Le leggi razziali, abrogate nella legislazione, sembrano essere ancora in vigore nella testa e nel cuore di troppi amministratori e di tanti politici corrotti. Sono soprattutto rom e sinti a pagarne le conseguenze sotto lo sguardo indifferente dell’opinione pubblica che viene lasciata nella più completa disinformazione.

I politici e le istituzioni sono al corrente ma fanno orecchie da mercanti. Eppure con poco si potrebbe fare tanto a vantaggio di tutti, purtroppo manca una reale volontà politica e istituzionale per superare questa situazione.

          (foto di Alberto Melis)

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Sergio Sammartino 18 Dicembre 2020 - 09:58

L’articolo non tiene conto del fatto – che io conosco molto bene – che certe etnie VOGLIONO emarginalizzarsi e non accettano la famose integrazione. I Roma, in ogni città in cui risiedono (e nella mia hanno quartieri specifici con case più che decenti) comunque trattengono il desiderio di differenziarsi e non mescolarsi agli altri. I tanti nostri emigranti con cui ho avuto contatti in vita, invece, mi hanno spesso descritto i loro tentativi di assimilarsi il più possibile alla popolazione che li ospitava, in modo da attutire al massimo il senso di diversità che poteva colpirli.

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