È un momento sicuramente no per Francesco Figliuolo. La pandemia non fa più notizia, le sue conferenze stampa sembrano oramai lontane e pare sia l’unico generale a non parlare di guerra in questo momento.
Ma tramonti a parte, non è passata in sordina la notizia della distruzione delle mascherine acquistate dal governo Conte, tramite Arcuri, per un valore di 218 milioni di euro.
Insomma, i dispositivi in questione sarebbero le cosiddette mascherine di comunità, strumenti che andavano bene durante la prima ondata di pandemia ma che oggi non vengono più usati.
Acquisto frettoloso che è risultato una spesa poco utile nel lungo periodo, ma non del tutto inutile. Infatti oltre al danno di aver sperperato 218 milioni di euro in dispositivi poco efficaci, si aggiunge la beffa di doversi liberare a tutti costi di un oggetto che comunque può essere utilizzato in altro modo.
A farne richiesta è lo stesso Figliuolo che delega l’azienda specializzata in smaltimento di rifiuti, la A2A, che ha vinto l’apposito bando. L’azienda infatti prenderà 698mila euro per smaltire strumenti intonsi.
I dispositivi, in un primo momento, erano stati ritenuti idonei per far fronte all’emergenza, ma adesso, essendo privi di certificazioni, risultano inutilizzabili e conservarli comporterebbe un costo.
Il costo di deposito infatti è di 313mila euro al mese, non proprio conveniente. “Non sono mai state richieste, né dalle Regioni, né dagli altri enti convenzionati” e “oggi non trovano più nessuna possibilità di impiego”, dice il Commissario Figliuolo.
Tralasciando il costo del deposito sproporzionato e il costo di smaltimento inutile, queste mascherine sarebbero potute servire in altre parti del mondo per contrastare la pandemia.
Infatti, l’operazione, costata “solo” 220 milioni di euro, è stata una perdita di denaro, di tempo e di CO2. L’Italia piange per la crisi economica e altri 220 milioni di euro sono finiti nel cesso. Touché.