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Crisi dei rifugiati e l’ascesa del populismo dopo la Primavera araba

by Romano Franco

Nel tempo, l’Italia è stato il Paese europeo più coinvolto dalla crisi dei rifugiati, questo perché la sua posizione geografica la rende più appetibile di altri principali punti di accesso al continente. Tra il 2014 e il 2017 circa 150.000 persone all’anno hanno presentato richiesta di asilo nel nostro paese.

Colpa dei vari conflitti e della Primavera Araba innescata da Facebook, Obama, Sarkozy e la Clinton che, una volta preservati i loro interessi, hanno pensato prima di smuovere le acque e poi di lasciare quei paesi ancorati al loro destino, ancora molto radicale e con diritti discutibili, lasciando il Maghreb allo sbando e senza una guida solida e giusta, semplicemente perché così conveniva.

Secondo molti, la crisi dei rifugiati ha contribuito alla crescita dell’ondata populista e al successo elettorale di partiti nazionalisti e xenofobi un po’ in tutta Europa. Purtroppo l’invasione incontrollata di questi flussi migratori non permette un controllo adeguato e pignolo sugli immigrati e l’intolleranza mossa da una “sana” contrapposizione di usi, costumi e leggi hanno agevolato il processo di razzismo e segregazione nel nostro paese.

Nonostante il tema sia stato a lungo al centro del dibattito pubblico, soprattutto durante le campagne elettorali per le elezioni politiche del 2018 e le europee del 2019, non si sa ancora molto circa gli effetti dell’arrivo dei richiedenti asilo sul nostro territorio.

Le colpe della primavera Araba e dei loro promotori

Quante morti, quanti orrori, quanto dolore si devono, in ultima analisi, al cinismo narcisista di potenti come Hillary Clinton e di altri personaggi dalle mani lorde di sangue, come Nicolas Sarkozy e Bernard-Henri Levy, “l’usignolo dei cimiteri”?

Come nel caso della Tunisia e dell’Egitto, tutto è cominciato con manifestazioni indette attraverso i social network, Facebook e Twitter in primo luogo. Fu proclamato, il 17 febbraio 2011, un “giorno della collera”, e la pagina Facebook ottenne quasi 10.000 adesioni. Non è nella capitale, però, che la contestazione ha visto il suo debutto, ma a Bengasi, la seconda città del paese. Qui dei ragazzi hanno manifestato nelle strade, brandendo cartelloni con slogan identici a quelli che si erano già sentiti durante le rivoluzioni colorate, e video amatoriali sono stati trasmessi dai media mainstream.

Ma la situazione è rapidamente degenerata. I giovani sono presto spariti per lasciare posto ad attori ben più a loro agio con i kalashnikov che con le tastiere del computer. La rivolta si è quindi rapidamente trasformata in guerra civile e gli insorti si sono uniti sotto una “nuova-antica” bandiera, che altro non era se quella in uso ai tempi del re Idris Senussi, rovesciato nel 1969 dal colonnella Gheddafi.

Galvanizzata dalla “primavera” araba, la ribellione anti-Gheddafi si è data come struttura politica il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT). Bernard-Henri Levy (BHL), il filosofo dalle camice immacolate anche in tempo di guerra, prese le difese degli insorti libici e riuscì a convincere il presidente Sarkozy a riceverli. Così, il 10 marzo 2011, tre rappresentanti del CNT incontrarono il presidente francese all’Eliseo: Ali Zeidan, Mahmud Jibril e Ali Essaoui. La guerra in Libia non era necessaria e si poteva evitare, solo se gli Stati Uniti l’avessero permesso, e che l’amministrazione statunitense ha reso possibile la fornitura di armi e il sostegno militare a ribelli legati a Al Qaeda.

La guerra allora è continuata come se niente fosse. Decine di migliaia di vite sono state inutilmente sacrificate sull’altare di una “democrazia” chimerica e un paese chiamato Libia è andato a rotoli… Catturato il 20 ottobre 2011, Muammar Gheddafi è stato selvaggiamente linciato e sodomizzato da ribelli isterici. Allungato su un lurido materasso, il suo corpo ferito e senza vita venne esposto come un trofeo di caccia a una folla di sfaccendati assetati di immagini macabre.“We came, we saw, he died”, Clinton è riuscita ad avere la pelle della sua preda. E non è stata sola in questa impresa. La storia ricorderà anche il ruolo di altri ferventi promotori dell’intervento militare contro la Libia, come il presidente Nicolas Sarkozy, il senatore John McCain e “l’usignolo dei cimiteri” Bernard-Henri Levy.

Ma nella loro interpretazione da “Oscar”, Obama e Clinton parlano ancora di diritti civili e di immigrazione, solo questo fallimento servirebbe a capire fino a che punto possa arrivare la loro ipocrisia.

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