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Letta, conservatore e populista, la sponda a “sinistra” per Draghi

by Maurizio Ciotola

Dopo il trauma della breve guida fallimentare di Matteo Renzi, che ha utilizzato il Pd come roba sua, per giungere dove nessun partito serio l’avrebbe mai destinato, vi è stato un assestamento e presa di coscienza, cui la guida di Nicola Zingaretti ha restituito al partito una modesta, ma riconoscibile dignità.

La mossa con cui lo stesso Zingaretti ha lasciato non rientra nelle modalità e nel corso che lo hanno contraddistinto, nel breve tempo in cui ha guidato il partito.

L’emergere di Enrico Letta, con una meraviglia ipocrita di cui tutti siamo coscienti, ha rigettato il partito tra le braccia di un conservatore democristiano, quanto populista professionista, come le sue dichiarazioni all’insediamento hanno mostrato.

Letta rientra nell’equilibrio cui l’operazione Draghi è madre e fautrice, dove l’abbraccio con i moderati di destra, sembra essere il vero elemento portante di cui il nemico di sempre, Renzi, si è reso inconsapevolmente causa.

Del resto pensare che l’agire di Renzi fosse irrorato di genialità riformista, lo hanno pensato in tanti e sponsorizzato altrettanti, pur di liberarsi di una evidente inclinazione a sinistra del governo Conte.

Renzi è caduto nell’operazione di cui ha creduto essere regista, sottovalutando i veri attori, neppure tanto occulti, presenti al Quirinale e nei banchi della vera regìa al fianco di Berlusconi, oramai icona in trasformazione.

Il populismo di Letta è ben evidente, quando inneggia al voto ai sedicenni, inciampando sulla costituzione italiana, che prevede la maggiore età per il voto.

Ovvero per riuscire a render possibile il voto dai sedici anni, bisognerebbe rendere maggiorenni i cittadini al compimento del sedicesimo anno di età o modificare la Costituzione.

Un programma vasto, poco realistico e soprattutto irto di complicazioni e superficialità, cui solo un’affermazione populista come questa poteva rappresentare.

Se i giovani sono il nostro futuro, com’è sempre stato nel corso della storia umana, ad essi dobbiamo dare gli strumenti per poter costruirlo, non imporgli un futuro privo di strumenti, cui non diamo possibilità di scelta.

Questo Letta, che non è certamente uno sprovveduto lo sa perfettamente, ma ha preferito confermare una falsa disponibilità, dall’indubbio ritorno di immagine e alla lunga, elettorale.

Anche parlare di Ius Soli, per cui noi ci battiamo da svariati decenni, in un contesto in cui è ancora viva e vegeta dopo quasi trent’anni la Bossi-Fini, è uno specchietto per le allodole.

Un’ipocrita manifestazione di un cambiamento che non si vuole e di cui è necessario parlare, senza compiere azioni significative per determinarlo.

Ma l’elezione di Letta, rientra in un operazione ricorrente nella storia, l’individuazione di una guida moderata e conservatrice, capace di garantire una sopravvivenza a un corpo politico in disfacimento.

Così come lo è stata la chiamata a Palazzo Chigi di Mario Draghi, che ha voluto subito rassicurare il fronte politico, imbarcando nella maggioranza un’opposizione per raccogliere i consensi sul suo operato.

Una operazione cui i manager aziendali dei grandi gruppi internazionali sono usi fare, scalando le società di intralcio o concorrenti, inglobandole nel gruppo.

Con la differenza per cui le aziende non hanno una gestione democratica, diversamente dalla nostra Repubblica.

Le componenti riformiste e di sinistra, che sostengono il Governo sono ora immobilizzate e pesate in misura differente, non più determinante.

Lo sfilarsi dal sostegno sarebbe un’operazione inutile e gravosa di responsabilità, oltreché soggette a un’aggressiva campagna mediatica, cui solo pochi si sfilerebbero.

Questa componente politica invece, deve saper adottare metodi analoghi e più spregiudicati della schiera dei conservatori, che sta acquisendo il controllo della maggioranza di Governo determinando il suo operato.

Ha il dovere di manifestare la contrarietà e determinarne gli effetti, sulle azioni di governo “paramilitari”, come ci è sembrato di cogliere tristemente, dalle prime azioni di insediamento del presidente Draghi.

Non ultima la sostituzione di un manager con quella di un militare alla guida dell’emergenza Covid, su cui non esistono pregiudizi in merito alla persona, ovviamente, ma sul suo ruolo militare.

E’ un’azione grave, piena di significato, con cui si è voluta mettere al bando qualsiasi altra opzione, quale appunto la possibile sostituzione di Arcuri con un altro manager o un grand commis di Stato.

Esprimendo così una bocciatura in tal senso, con l’esplicito fine di rendere evidente il fallimento di una gestione di stampo civile, per ricorrere alla gestione militare dell’emergenza.

Non è un buon segno, anzi. quando nelle emergenze subentra la gestione da parte dei militari, la Storia, cui il presidente Draghi e sicuramente il Presidente della Repubblica Mattarella conoscono, non ha mai portato nulla di buono.

Certo il Generale Figliolo, plurilaureato e pluridecorato, non costituisce un pericolo in sé, ma è un cuneo capace di insinuare l’esercizio democratico nell’emergenza del Paese.

Ecco, Enrico Letta si inserisce in modo evidente in questa scia politica, rafforzandola a discapito di una visione e di una azione riformista e di sinistra, cui i tempi sembravano maturi.

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1 comment

Mario Guerini 17 Marzo 2021 - 09:19

Ma ci rendiamo conto quante volte si è fatto il nome di sgRenzi ????? L’innominabile, vomitevole … 🤮 e pensare che l’articolo mi scorreva piacevolmente, serenamente, bene. Mai più nominare il nome dell’innominabile. Grazie (Letta 🤔 è parente ….. ???)

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