Di Eugenio Magnoli
Il 25 settembre del 1896 nasceva Sandro Pertini. Il presidente più amato dagli italiani era un uomo dal carattere rude e burbero ma con un cuore grande e generoso che, con il suo impegno encomiabile, ha contribuito al contrasto del regime fascista e alla cacciata di quest’ultimo con ogni mezzo o forza.
Pertini, si impegnò in politica fin da giovanissimo, era un abile socialista e un fervente partigiano che si impegnò sin da subito nella lotta al fascismo di Benito Mussolini.
Sotto il suo viso onesto e fiero, la pipa all’angolo della bocca, gli occhialoni spessi e l’aria severa vi erano celate le caratteristiche inequivocabili della sua natura che non troppo presto lo avrebbero fatto passare alla storia come il presidente della Repubblica che gli italiani hanno amato di più.
Pertini viene ricordato da molti come irremovibile e nel tempo la sua idea del fascismo rimane sempre immutata: un male da contrastare con ogni forma o mezzo. Il fascismo per Pertini non era una fede politica ma l’antitesi delle stesse poiché il fascismo opprimeva e perseguiva tutti coloro che la pensavano diversamente. E così è stato per il giovane Pertini, finito vittima di quella persecuzione ingiusta e molesta.
Pertini “era della stoffa di cui sono fatti gli eroi” secondo Giuseppe Saragat e combatté per tutta la vita senza tradire mai i suoi ideali: un eterno ribelle dall’esistenza tutt’altro che tranquilla
Pertini veniva da una famiglia benestante. Quarto di cinque fratelli, il giovane Sandro era gracilino e malinconico, da ragazzo amava starsene in disparte a leggere Leopardi e Dostoevskij o in sella alla sua bicicletta, pedalando per le strade tutte curve della sua terra: San Giovanni di Stella, un paesino sull’Appennino ligure in provincia di Savona. Era molto legato alla madre, Maria Muzio, una donna molto religiosa che era rimasta vedova nel 1907, quando Sandro aveva appena 11 anni. “Se nella vita sono riuscito a fare qualcosa di buono lo debbo al suo insegnamento e al carattere che lei mi ha formato. Ho l’orgoglio di pensare che io le assomiglio molto: per temperamento, per devozione alla fede scelta, per volontà nel sopportare sacrifici e rinunce e per fierezza“, diceva Pertini.
A differenza della madre, Pertini aveva un unico credo, quello socialista, e fu così che sviluppò la sua mente e la sua formazione. Infatti, proprio quelle idee assorbite sui banchi di scuola guidarono tutta la sua avventurosa esistenza.
Nonostante fosse un fermo oppositore della violenza, con i primi sentori della Prima guerra mondiale – appena diciannovenne – Sandro rispose alla chiamata alle armi, spinto dal senso del dovere e dall’amore per la nazione. Tornò dal fronte con un bagaglio di tristi racconti, il grado di capitano e una medaglia al valore che i fascisti non vollero consegnargli.
Non si poteva in alcun modo ammettere che un socialista potesse essere anche un buon patriota? Il socialismo era nemico del fascismo poiché aveva commesso la grave colpa di rinnegare Mussolini. Ma Sandro Pertini non si è mai genuflesso a quel regime dispotico. “Molti erano intimiditi da quelle violenze e sostenevano che non si dovevano provocare i fascisti […]. Questo non è mai stato il mio atteggiamento. Sono stato bastonato perché il primo maggio andavo in giro con una cravatta rossa. Sono stato mandato all’ospedale perché nella ricorrenza della sua morte, ho appeso alle mura di Savona una corona d’alloro in memoria di Giacomo Matteotti. Ho vissuto i miei vent’anni così e non me ne pento“, dichiarò in un’intervista l’ex presidente.
Tra il ’24 e il ’26, fu processato e condannato al carcere e poi al confino come “avversario irriducibile dell’attuale Regime” e “sovversivo pericoloso per la salute della nazione“.
Migrò in Francia e, nonostante le due lauree in giurisprudenza e in scienze politiche, Pertini cercò di sopravvivere facendo i lavori più umili. Per tirare a campare lavò taxi, fece il muratore, il pittore di infissi e perfino la comparsa nei film della Paramount. Ma ciò che Pertini il libertario non cessò mai di fare fu la lotta al regime fascista.
Ma stare all’estero mentre in Italia succedeva l’inevitabile era una cosa che lo mandò ai matti. Perciò nel 1929 tornò in patria, e non per riabbracciare l’allora fidanzata, Matilde Ferrari, a cui intitolò il suo rifugio clandestino a Nizza (il massimo del romanticismo, per lui), ma per riorganizzare il Partito socialista.
Sogno che venne infranto da una camicia nera che lo riconobbe a una fermata del tram e lo arrestò. Così Pertini fu acciuffato, processato e condannato a quasi 11 anni di carcere e tre di confino. In tribunale la sua unica preoccupazione fu sigillare la sentenza col grido “abbasso il fascismo e viva il socialismo“.
In carcere lottò contro i soprusi, le ingiustizie e la noia e, benché fosse malato, si dissociò categoricamente dalla richiesta di grazia che la madre spedì al Duce. Reagì con durezza, per non tradire la fede politica, “l’unica cosa di veramente grande e puro che io porti in me“.
Ma la prigione per Pertini fu anche molto prolifica per i suoi rapporti futuri. Fu in quel contesto che conobbe Antonio Gramsci, uno dei fondatori del partito comunista italiano. Gramsci, isolato in carcere come nel suo partito, provò a convertire al comunismo il compagno socialista, senza riuscirci.
“In quei tempi, all’estero socialisti e comunisti si sbranavano […] io ho sempre disapprovato questa rottura perché sono sempre stato per l’unità del movimento operaio; quindi l’amicizia concessami da Gramsci assunse per me un significato, oltre che sentimentale e umano, anche politico“, ricordò in seguito Pertini.
Gramsci morì nel 1937, sei anni prima che gli Alleati sbarcassero in Italia, che il Duce fosse destituito e che i prigionieri politici fossero rilasciati dopo l’abolizione del Partito fascista.
Ma la vera battaglia cominciava ora per Sandro Pertini. La guerra di Resistenza per la liberazione dell’Italia dai nazifascisti fu una grande occasione per l’eterno ribelle di partecipare alla liberazione della sua patria da quello che lui considerava un male incurabile.
Il libertario non fece mancare il suo apporto con idee, carisma e il mitra sempre in mano, sia nel direttivo che nelle piazze, alla testa dei partigiani d’Alta Italia, Firenze e Milano.
Dopo la ritirata dei tedeschi in quel famoso 25 aprile del 1945, l’arresto di Mussolini due giorni dopo e la sua fucilazione avvenuta il 28 aprile, Pertini non smise di combattere per la libertà. “La libertà è un bene prezioso che bisogna difendere giorno per giorno“, diceva.
Pertini era un personaggio scomodo per i corrotti e duro contro gli ingiusti e fu proprio questo suo pedigree ad hoc a qualificarlo come presidente della Camera, prima, e settimo presidente della Repubblica, in seguito. Nello stesso anno Karol Wojtyla diventò pontefice con il nome di Giovanni Paolo II.
Ma nonostante la sua rinomata laicità, ciò non consentì a Pertini e Giovanni Paolo II di diventare grandi amici. Il presidente era un ateo dichiarato ma diventò amico della massima carica della Chiesa cattolica. Aveva anche il crocifisso appeso al Quirinale.
Il presidente non ha mai creduto, ma diceva di ammirare tantissimo Gesù, perché aveva sostenuto le sue idee a costo della vita. Il presidente e il papa furono amici veri, oltre le regole del protocollo: telefonate dirette, scherzosi scambi di battute, lettere, pranzi segreti, abbracci in pubblico e persino vacanze insieme in montagna, che erano la passione di entrambi.
I due si spalleggiarono e si diedero conforto a vicenda per le avversità di quel tetro periodo: gli anni del terrorismo rosso e nero, del disastro aereo di Ustica, della strage alla stazione di Bologna, del terremoto in Irpinia, della loggia massonica P2, della morte del piccolo Alfredino intrappolato in un pozzo a Vermicino (Roma), dell’assassinio del prefetto di Palermo, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Pertini odiava i funerali, e in quei sette anni da presidente fu costretto a presenziarne parecchi.
Difficile dimenticare l’ultimo sentito saluto del Libertario a Enrico Berlinguer, allora segretario generale del Partito comunista italiano, colpito da ictus durante un comizio a Padova nel 1984.
I comunisti sono da sempre i rivali dei socialisti, ma non per Pertini che considerava la politica non un bieco scambio di scortesie, inciuci e intrallazzi, ma una battaglia ideale tesa ad affermare valori, su tutti il rispetto delle idee altrui. Per questo fu un rivoluzionario e fu per questo che si impose per scortare la salma del suo “compagno di lotta” a Roma, con l’aereo presidenziale.
Non cercava consensi: lo fece perché lo sentiva, come ogni altra cosa nella sua vita. Pertini non faceva mosse propagandistiche e non era alla ricerca di gloria, le sue azioni erano mosse solo da un innato senso di giustizia. L’onestà veniva prima di tutto per lui e, una volta salito al Quirinale, smise di rinnovare la tessera di partito per potersi definire per davvero “presidente di tutti gli italiani“. Sinonimo di coerenza e abnegazione di un essere umano eticamente superiore alla media.
La sua politica non aveva compromessi, le parole d’ordine erano solo pragmatismo e rigore. Anche nei confronti degli uomini al governo, con i quali i suoi rapporti furono talvolta burrascosi. “La politica se non è morale non m’interessa. Io, se non è morale, non la considero nemmeno politica. La considero una parolaccia che non voglio pronunciare“, sosteneva.
Che Pertini fosse un presidente sui generis era risaputo ma sorprese tutti quando arrivò al Quirinale. Affrontò attivamente 8 crisi di governo, impose 2 scioglimenti anticipati delle camere e per anni si rifiutò di ricevere al Quirinale i parlamentari della Loggia di Licio Gelli, compresi quelli che, con la benedizione dei loro partiti, avevano mantenuto i propri incarichi.
Durante il suo incarico Pertini rimase irriducibile e nel tempo è sempre rimasto immutato il suo senso d’onestà. “Le mani siano candide!“, intimò ai suoi collaboratori il giorno dell’insediamento al Colle, lui che, mai al centro di uno scandalo o di un sospetto, non soltanto predicò ma soprattutto razzolò bene.
Da uomo onesto e intransigente, il presidente, non era di sicuro privo i difetti: “Tutti gli uomini di carattere hanno un cattivo carattere“, diceva Pertini. Infatti, per chi lo ha conosciuto di persona era un testardo, senza peli sulla lingua, franco e ruvido nelle interviste e con chiunque lo circondasse.
“Sono sempre stato un passionale, un impetuoso. […] Oh, quante persone ho investito con le mie ire improvvise, i miei atteggiamenti rigidi, le mie interruzioni!“, confessò alla giornalista Oriana Fallaci nel 1973. Ma era proprio questa spontaneità che piaceva tanto alla gente.
Rimangono indelebili le sue reazioni durante i mondiali dell’82, durante la finale Italia-Germania, mentre esulta accanto all’impassibile re di Spagna, Juan Carlos, e al severo cancelliere tedesco, Helmut Kohl.
Sono passati anni, ma il suo forte ricordo rimane immutabile e, per chi lo ha amato davvero, la sua mancanza si fa sentire moltissimo. Buon compleanno Presidente, il tuo amore, il tuo coraggio e il tuo senso di giustizia saranno sempre un valido insegnamento per i posteri. Una figura come Sandro Pertini andrebbe studiata e analizzata, molto meglio, nelle scuole. Forse l’Italia sarebbe un paese migliore se si studiassero più personaggi come Sandro Pertini e meno soggetti del calibro del Duce.
Con la scritta “Lavoratori di tutti i Paesi, unitevi!“. Sembra ancora di sentirlo, impetuoso: “Il nostro popolo è capace delle più grandi cose quando lo anima il soffio della libertà e del socialismo“. E guardando il suo operato e la sua storia come si può dar torto al Presidente più amato, Sandro Pertini, uomo giusto, coraggioso e, da sempre, il socialista per eccellenza.