Home In evidenza Salvo Andò: “Il disimpegno Usa in Afghanistan poteva avvenire in forme diverse” – Quarta parte

Salvo Andò: “Il disimpegno Usa in Afghanistan poteva avvenire in forme diverse” – Quarta parte

by Rosario Sorace

In questo articolo, suddiviso in quattro parti, proveremo a raccontare la vicenda del ritiro dei militari americani dall´Afghanistan che è stata interpretata dalla comunità internazionale come un segnale di disimpegno degli USA dallo scacchiere mediterraneo e mediorientale.

Si è parlato in questo senso di una, oramai, univoca volontà degli Stati Uniti di occuparsi soprattutto della competizione che li coinvolge nell’area del Pacifico, soprattutto con riferimento alla sfida ormai lanciata alla Cina.

Paiono ormai lontani i tempi dell’interventismo americano nella regione del Golfo per arginare il fondamentalismo islamico e incoraggiare in tutte le forme possibili in quei paesi il processo democratico.

Adesso Biden viene accusato, anche dai democratici americani, di avere fatto una scelta irresponsabile, cinica nei confronti dell’establishment e delle popolazioni che hanno collaborato con le truppe di occupazione e che si sono fidate, nel corso di una guerra quasi ventennale, degli Stati Uniti e dei paesi ad essi alleati.

Si trattava di contrapporsi allo Stato islamico e alle centrali del terrorismo internazionale, ma siamo di nuovo alle prese con la strategia del terrore posta in essere dai Talebani, con la negazione di ogni libertà alle donne, con la criminalizzazione della cultura ritenuta fattore di instabilità sociale perché tendente a mettere in discussione il primato dell’ortodossia islamica che assume la guerra santa come dovere inderogabile.

Di tutto ciò vogliamo parlare con Salvo Andò che negli ultimi anni ha scritto dei libri sul fondamentalismo islamico chiedendosi se esisteranno mai le condizioni per islam riformista, che veda una parte consistente delle classi dirigenti islamiche, accettare la modernizzazione dell’islam, rifiutando, invece, di islamizzare la modernità.

Il suo punto di vista è interessante, tenuto conto anche delle esperienze fatte come politico, soprattutto come Ministro della difesa, che ha operato nello scenario mediterraneo e nordafricano nel corso degli anni ‘90, quando si venivano accumulando forti tensioni che minacciavano la stabilità dell’intera regione ed emergeva un fondamentalismo aggressivo contiguo al terrorismo.

Secondo te Biden abbandonerà l’Europa a sé stessa cercando di dialogare solo con il Regno Unito o creando un asse già in via di formazione con paesi come Giappone, Australia, insomma una sorte di Nato del Pacifico.

La lezione afgana sta a indicare che siamo alle prese con un Jihad globale. Anche l’attentato di Kabul è un preoccupante segnale della ripresa della jihad globale.

All’interno della comunità afgana convivono fazioni diverse del fondamentalismo islamico. Ma tutte insieme convergono sull’idea della guerra santa contro l’occidente corrotto e corruttore.

Si aggiunga che i diversi signori della guerra tendono a privatizzare i conflitti per perseguire gli obiettivi più diversi, soprattutto per terrorizzare le popolazioni civili e sottometterlo ai loro disegni, ma anche per rapinare risorse che se ben utilizzate potrebbero cambiare il destino di centinaia di milioni di persone.

Il fatto che l’attentato di Kabul sia stato realizzato da spezzoni dello stato islamico che torna sulla scena dovrebbe fare preoccupare seriamente tutti, anche quei paesi che si sono mobilitati per garantire una generosa protezione ai talebani, come la Cina e la Russia di Putin.

Quale significato può avere, se letto in prospettiva, l’attentato del 1 agosto all’aeroporto di Kabul?

L’attacco terroristico contro l’ aeroporto di Kabul, che ha prodotto centinaia di vittime, dimostra che si vanno organizzando forze in grado di provocare una Jihad globale, cioè di portare la violenza ovunque, destabilizzando anche stati che hanno dimensioni continentali.

Oggi l’Afghanistan è divenuto l’epicentro di un mondo musulmano che vuole sottomettere l Occidente. Pare che l’attentato sia opera di spezzoni di quello stato islamico, creato dal sedicente califfo Al Bagdadi, che è stato sconfitto sul piano militare ma va reinsediandosi in alcuni paesi.

Non si comprende bene se si tratta di competitori dei talebani irriducibili o di un organizzazione disposta anche a collaborare con essi per conseguire obbiettivi condivisi, come la cacciata immediata degli americani dal territorio afgano.

La vittoria dei talebani costituisce, da questo punto di vista, un rischio enorme nel momento in cui, grazie agli appoggi di cui godono tra gli avversari dell’Occidente, potrebbero rappresentare un punto di riferimento del terrorismo globale proponendosi come stato terrorista o che ospita i terroristi.

Se così stanno le cose, non pare dubbio che la decisione del presidente americano Biden di lasciare l’Afghanistan senza avere messo a punto un sistema di sicurezza in grado di proteggere le truppe schierate in territorio afghano, nonché quella parte della popolazione che per quasi vent’anni ha collaborato con il contingente militare, sia stata una decisione sbagliata.

Si è infatti organizzato un massiccio esodo di militari e di civili da un territorio che da vent’anni è teatro di una guerra difficile stabilendo una data precisa, inderogabile, senza tener conto dell’evolversi della situazione, della conflittualità esistente tra le diverse fazioni, l’una contro l’altra armata, della jihad islamica che operano in quel territorio, della possibilità che i diversi gruppi terroristici trovino una convergenza operativa nel massacrare tutte le forze di opposizione presenti nel paese, militari e civili.

La tragedia afgana impone all’occidente di mettere a punto una strategia contro il terrorismo che abbia dimensioni globali. Soprattutto l’Europa e la Nato dovrebbero essere in grado di svolgere un ruolo più incisivo per riempire il vuoto di potere creato dalla scelta isolazionista compiuta da Trump e non del tutto smentita da Biden.

Non si tratta tanto di costruire un esercito europeo, vero e proprio, la presidente della Commissione europea ha parlato di un impegno graduale di formare un battaglione comunitario con almeno 56.000 unità, allocato in una base permanente, con un comando di lungo periodo, almeno triennale.

Tutto ciò tuttavia non si può fare dall’oggi al domani. E si tratta in un certo senso di un impegno minimo che tende a dimostrare una comune assunzione di responsabilità degli europei in materia di politica estera e della difesa.

E si tratterà finalmente di un’assunzione di responsabilità collettiva nella lotta al terrorismo. Vi saranno certo difficoltà anche tra i paesi europei perché parlare di un esercito europeo significa parlare di una politica estera europea. E decisioni di questo tipo inevitabilmente dividono.

E’ più che mai urgente in questo senso sapere che alcune decisioni che sono importanti per il futuro dell’Europa possono essere prese a maggioranza.

Non sarebbe bene che la difesa europea nascesse tra un gruppo ristretto di paesi tra cui l’Italia. Dovrebbe essere interesse anche degli Stati Uniti che l’Europa si possa muovere unitariamente in questo campo.

Gli Stati Uniti escono da Kabul duramente colpiti dalla ripresa del terrorismo; è un’opportunità per loro che l’Europa che si interfaccia con essi in materia di difesa.

Oggi l’Italia gode di un’alta considerazione a livello internazionale grazie anche alle iniziative assunte da Mario Draghi come presidente di turno del G20.

Ovviamente parlare di sicurezza significa, non solo contrastare il terrorismo, ma anche saper prevenire le mosse dei terroristi che potrebbero espandersi utilizzando la crisi afghana anche nei territori limitrofi.

Occorre che l’Europa sappia offrire assistenza ai rifugiati agli sfollati garantendo la mobilità e la sicurezza delle persone.

Pensi che la fuga degli americani dall’Afghanistan, che molti hanno paragonato alla fuga da Saigon, possa rafforzare il terrorismo?

Il terrorismo si batte attraverso il multilateralismo una volta venuta meno l’onnipotenza americana. Da questo punto di vista lo slogan di Trump America first era ingannevole.

Come si fa a chiudersi entro i propri confini abbandonando un paese importante per la stabilità politica di baste regioni asiatiche ai talebani e alle organizzazioni jihadiste dopo avere affermato per 20 anni che bisognava, anche attraverso l’intervento militare, prosciugare la palude dentro la quale si muovono i grandi piccoli pesci del terrorismo.

In sostanza, tollerare le prepotenze e le violenze dei talebani, inevitabilmente, produce altre prepotenze e altre violenze.

Disimpegnarsi dallo scenario dei paesi del Golfo, dove il terrorismo trova ospitalità, significa accettare da parte dell’Occidente la sottomissione ai regimi autoritari che costituiscono una minaccia permanente per l’Occidente.

Occorre quindi dimostrare che l’Europa sa difendersi da sola, anche se è bene che essa si difenda nel contesto dell’alleanza occidentale.

Se l’Europa non è in grado in certi frangenti di dimostrare la propria autorevolezza e un’adeguata voglia di fare, disponendo degli strumenti per intervenire nelle crisi, potrebbe domani trovarsi di fronte alle grandi emergenze che oggettivamente la coinvolgono in uno stato di pericoloso isolamento perché anche gli Stati Uniti non avrebbero motivo di correre in aiuto di alleati che fanno poco o nulla per potenziare i loro strumenti di difesa.

Domani, ci potremmo trovare di fronte ad una situazione paradossale, e cioè che gli americani dovendo affrontare la Cina potrebbero preferire una Russia forte a un ‘Europa inesistente. L’alleanza atlantica ha un valore enorme perché trasforma l’Europa in un attore strategico.

Ci troviamo di fronte a un nuovo scenario internazionale a seguito di quanto è accaduto a Kabul, con la prima potenza al mondo che si ritira da un paese che dichiarava di voler ricostruire, mentre i signori della guerra lanciano le bombe a Kabul per dimostrare che loro non si accontentano della vittoria, vogliono l’umiliazione.

In gioco, insomma, ci sono le sorti della democrazia nel mondo. Il mondo è ormai multipolare. Molte potenze esercitano influenze rilevanti anche in territori lontani per imporre la loro egemonia.

Di fronte a ciò bisogna ricordarsi che l’Europa rappresenta un’anomalia democratica, essendo l’unico continente dove la democrazia è largamente prevalente.

L’Europa, insomma, è l’unico continente che si è organizzato come comunità di libertà cercando di arginare l’invadenza delle dittature.

A poco vale come intende fare il presidente Biden, convocare a dicembre le diverse famiglie democratiche se non si ha la determinazione necessaria ad assumersi responsabilità comuni per difendere la democrazia anche prevenendo l’affermarsi di regimi autoritari che paiono sempre più decisi a scatenare tensioni ovunque per poter vedere crescere la loro capacità di influenza.

I regimi autoritari stanno cercando di conquistare sempre nuovi spazi con la Russia in testa, nei Balcani, nel Baltico, in Libia nell’Africa sud sahariana, e tutto ciò viene fatto, non solo per interessi economici, ma, per creare dei presidi politici attraverso i quali sfidare innanzitutto l’Europa.

Il modo migliore di fronteggiarli è quello di dimostrare che l’Europa è nelle condizioni di dotarsi di una politica estera e della difesa che faccia valere la propria opinione di cui tutte le grandi potenze devono tener conto.

Deve fare ciò non solo per difendere i propri commerci e per tenere libere le vie dei mercati nei quali è presente, ma per dimostrare che ancora nel mondo sopravvivono comunità di libertà e valori viali costituzionali che non saranno mai annientate dalle dittature che si vanno consolidando in molti paesi o addirittura che si vanno creando anche là dove tradizioni autoritarie esistevano.

Di fronte alla minaccia di uno stato terrorista che si insedia a Kabul, o ad una guerra civile prolungata in quel territorio, pare ingiustificato l’ottimismo manifestato da quanti ritengono che con i talebani bisogna tuttavia confrontarsi.

Ma su che cosa bisognerebbe dialogare con i talebani, considerata la loro tenace adesione ai valori del fondamentalismo islamico?

Forse si può parlare di affari, di uno sfruttamento delle risorse di quel territorio vantaggioso per i paesi occidentali. Non certo di diritti umani, se si considera l’interpretazione che essi danno della sharia, come fonte di legittimazione della lotta terroristica, nonché il modello sociale basato sulla schiavitù delle donne che vogliono imporre e il rifiuto delle libertà culturali che predicano.

E tuttavia, se i talebani hanno vinto la guerra contro coloro che si battono per realizzare un riformismo compatibile con l’islam, se hanno potuto contare su un largo consenso sociale, un motivo deve esserci, al di là dell’odio contro gli americani.

La verità è che le classi dirigenti scelte dalle potenze che hanno occupato il territorio afghano non hanno cambiato il paese, ma ne hanno rapinato le risorse, hanno reso ancora più corrotta l’amministrazione pubblica, hanno sfruttato le popolazioni aggravandone le condizioni di povertà, hanno tollerato la produzione e lo spaccio dell’oppio. Usciti di scena gli americani, sarebbe bene che su questi temi l’Europa facesse una coraggiosa riflessione.

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