In seguito alla “strage” dei lavoratori mandati a casa, scaturita dallo sblocco dei licenziamenti messo in atto dall’esecutivo questa estate, il governo ha pensato bene di dare la sua benedizione e il lasciapassare, a quelle aziende, e concedere, loro, il “sacrosanto” diritto di effettuare delocalizzazioni selvagge low-coast.
E’ l’ennesimo calcio in culo da parte di questo governo contro i poveri lavoratori, coloro che hanno dedicato la loro: forza, dedizione, professionalità e, in alcuni casi, anche la vita per la propria azienda; loro appunto, che vengono trattati come carne da cannone a beneficio delle multinazionali e aziende che cercano di fare profitto anche dalle crisi.
Le partenze delle aziende dal suolo italiano hanno favorito i licenziamenti di massa e il piano anti-delocalizzazioni era sul tavolo dei ministri e premier già da questa estate.
Ma come ci si poteva aspettare dal governo dei migliori, migliori per quanto riguarda la difesa dei diritti delle aziende e delle banche; le sanzioni alle imprese che migrano all’estero, senza giusta causa, sono pochissime e bassissime.
A nulla è servita la richiesta di Pd e M5s di mettere più sanzioni alle aziende che migravano all’estero. E nella discussione tra le forze di maggioranza, che vedeva contrapposta da una parte Lega e FI e dall’altra Pd e M5S; come spesso avviene in “democrazia” nell’indecisione, alla fine, decide sempre Draghi.
E così il volere di Confindustria è stato fatto. Il nuovo Piano prevede che se un’azienda, inadempiente rispetto al piano di ristrutturazione del sito si rifiuta di raggiungere un accordo sulle tappe necessarie al rilancio, sarà chiamata a pagare il contributo previsto dalla legge Fornero, la 92, per il finanziamento dell’Aspi, oggi Naspi, in misura doppia, dunque incrementato del 50%.
Se invece non è inadempiente ma l’accordo con governo e sindacati sul salvataggio non va in porto con conseguenti esuberi, il contributo si moltiplica per 1,5 volte.
Un primo passo insufficiente che non si limita in alcun modo ad arginare il fenomeno e a tutelare intere famiglie italiane.
Si tratta, osserva Stefano Fassina, di un “deterrente debole” perché, il costo per un’azienda, “al massimo è 3300 euro a licenziato”.
Insomma, la Lega “accalappia voti”, nonostante le molteplici farse a favore dei lavoratori non si accontentava neanche di questo e voleva molto di più.
Addirittura, il Carroccio quest’estate proponeva, con il grande sostegno di Confindustria, di essere indulgenti anche con chi si fosse avvalso dei contributi pubblici, nei 3-5 anni precedenti, e avesse deciso di chiudere violando il diritto di allerta e i termini e le modalità previsti dalla procedura di reindustrializzazione.
Secondo la Lega questa sanzione sarebbe dovuta essere pari al 2% del fatturato dell’ultimo esercizio e, per l’azienda che chiude in assenza delle condizioni previste dal piano, sarebbe scattato l’inserimento in una black list che le avrebbe impedito per tre anni di accedere a finanziamenti, incentivi pubblici nazionali o di attingere agli ammortizzatori sociali.
Ma mentre la Lega, FI e FdI crogiolano vedendo gli interessi delle aziende tutelate, il pessimo messaggio arriva da coloro che si dovrebbero trovare a sinistra della barricata.
Tipo: Pd e M5S. Infatti, il segretario del Pd, Letta, parla di “primo passo importante”, mentre il leader del M5S, Conte, parla di “soluzione ragionevole”.
Ma non la pensa allo stesso modo la Fiom che parla di “via libera alle imprese che hanno deciso di delocalizzare”, favorendo una “mera proceduralizzazione che mette in discussione il diritto per i lavoratori di difendersi”.
E’ l’alba di una nuova era per i Prenditori. Avanti!