Il 16 marzo 1926 iniziò il processo per il sequestro Matteotti, che si svolse a Chieti, contro gli squadristi responsabili del rapimento e dell’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, avvenuto nel giugno 1924.
Questo omicidio segnò un momento di grave difficoltà per il nascituro regime fascista. Il coraggioso deputato socialista, aveva denunciato i brogli elettorali del regime. Si sapeva fosse in possesso di prove schiaccianti dei rapporti di corruzione di gerarchi fascisti, e persino del fratello del Duce che, con una compagnia petrolifera inglese, avviò lo sfruttamento dei giacimenti in Italia. I responsabili dell ‘omicidio, sull’onda dell indignazione popolare, vengono arrestati: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, vennero difesi da Roberto Farinacci, segretario nazionale del Partito Fascista.
Gli imputati in un processo farsa furono condannati, per omicidio preterintenzionale, ad una pena di soli 5 anni, 11 mesi e 20 giorni di reclusione. Naturalmente, tacciono di rilevare il nome del mandante, anche se, Benito Mussolini si era assunto la responsabilità morale dei fatti persino in un discorso nell’aula parlamentare. Il loro silenzio sulla responsabilità del Duce fu la garanzia per questa condanna ridicola.
Dopo la caduta del regime, per effetto del decreto luogotenenziale 159 del 27 luglio 1944, che annullava ogni sentenza del ventennio con condanne superiori ai 3 anni di prigione, nel 1947 si tenne un nuovo “processo Matteotti” a Roma.
Dumini, Viola e Poveromo vennero condannati all’ergastolo, pena trasformata poi in 30 anni di carcere.
Matteotti pagò con la morte il suo coraggio di socialista riformatore ma fu solo l’inizio tragico di una dittatura che aveva cancellato la libertà e che reprimeva, condannava e uccideva gli avversari politici. Il sacrificio del deputato socialista resta scolpito nella nostra memoria.