Anteporre dei pregiudizi all’operato del presidente del Consiglio, in merito ai 50 miliardi di euro resi disponibili ai circa ottomila comuni del Paese, sarebbe fuori luogo e insensato.
In primis per quelli che sembrano essere i presupposti, ovvero la fiducia verso gli enti territoriali, non ultima la capacità dei tanti comuni che, nei fatti sono e rappresentano l’Italia.
Un riconoscimento di intervento e capacità amministrativa, non scontato, cui il Governo adempie sul piano istituzionale, verso le comunità di rappresentanza democratica, sarebbe un giusto riconoscimento nei confronti di chi sorregge il Paese.
Certo è però che, queste stesse comunità, sono anche le più aggredibili dalle organizzazioni del malaffare e mafiose, il cui obiettivo non è il PNRR, evidentemente, ma una speculazione fine a se stessa.
Ovvero, una ulteriore via attraverso cui gonfiare i propri fatturati e accrescere il loro potere di influenza nei mercati e nella politica.
La presidenza del Consiglio metterà a disposizione mille esperti, è vero, che accompagneranno i comuni meno strutturati, i più piccoli, nei procedimenti di accesso alla spesa.
Altresì i mille, che sembra essere un numero ricorrente nella storia del Paese, non affiancheranno gli stessi enti locali per quanto riguarda il progetto strutturato, di trasformazione globale, cui il Paese ambisce.
Avremo ancora una volta un agire che, a parte le voci di spesa attraverso cui erogare questo ingente capitale, sarà privo di un progetto comune al quale riferirsi.
Sarebbe una meschina giustificazione, ancorché ben magra consolazione, se questa trasformazione non dovesse avvenire a causa dell’assenza di una visione di insieme, da parte delle tante comunità locali, per poi attribuire loro la responsabilità del fallimento.
Pur riconoscendo la giusta necessità di delegare sul territorio, parte delle iniziative legate a questo improrogabile cambiamento di paradigma, non possiamo far finta di non conoscere la reale situazione, di cui sono “prigioniere” le amministrazioni locali.
Sul piano della pressione legittima, ancorché inadeguata al progetto di cambiamento, e su quello dell’aggressione mafiosa, che rende ostaggio una considerevole parte degli stessi enti locali, non solo al sud del Paese.
E’ comprensibile che, le erogazioni previste avvengano attraverso modalità semplificate, in contrapposizione a una burocrazia che si è impadronita del Paese, limitando sviluppo e ricchezza, troppo spesso e in parte collusa con il malaffare.
E’ altresì vero e inequivocabile che, se il tessuto culturale non è in grado di produrre dei validi anticorpi, anche per via di una assenza di tutele reali, che dovrebbe garantire lo Stato, le semplificazioni in atto agevoleranno abusi e speculazioni, senza lasciare nulla sul territorio.
L’ostacolo concettuale, di cui sono vittima alcuni economisti e inequivocabilmente coloro che individuano nel mercato la soluzione di tutti i mali sociali, è ritenere possibile che, solo attraverso una sua stimolazione, sia possibile intraprendere il cambiamento desiderato, auspicato.
Aspetto che potrebbe avere una sua ragion d’essere e possibilità di successo solo su un piano ideale, o quanto meno dove l’economia reale e la cultura sociale, ancorché economica, è in grado di coglierlo.
Forse potrebbe essere possibile laddove sono assenti, e qui ricadiamo nell’idealismo, le deformanti azioni impresse dal malaffare organizzato.
Un malaffare oramai sovranazionale, per cui il fine della trasformazione del Paese, nei fatti, non costituisce il fine con cui operano e erodono le importanti, quanto non replicabili, risorse che oggi abbiamo a disposizione.
Il rischio inevitabile, di cui tutti siamo consapevoli, inclusi il presidente del Consiglio e della Repubblica, è che questa iniziativa si traduca, almeno in parte, in un ricchissimo finanziamento al malaffare e alla malavita organizzata.
Lo è ancor di più di fronte all’assenza di un piano organico nazionale, che preveda minimi spazi di differenziazione legati al territorio, ma pur sempre in armonia con il progetto europeo, attraverso cui avviarci verso l’auspicato cambiamento di paradigma.
Una trasformazione che oggi subiamo in misura disorganica, quanto pericolosa, i cui effetti di instabilità sociale e economica nel Paese sono già ben visibili.