Quello di Draghi è stato un discorso che non ha certo deluso le attese. Conoscendone lo standing e le competenze sapeva che non avrebbe girato attorno alle questioni essenziali.
Questo è un governo di unità nazionale, di tregua, che affronta un periodo di assoluta emergenza, cessata la quale sarà impossibile immaginare che riprenda tutto come era e come immaginiamo possa riprendere; se ne facciano una ragione in tanti, persino gli amanti dello Sci.
Ma dall’alto della autorevolezza dell’italiano che ha ricoperto incarichi internazionali prestigiosi era lecito attendersi un discorso grave, all’altezza del compito ma che ha, se possibile, reso sempre più evidente la sua solitudine.
Non é la solitudine dell’uomo solo al comando che pure il suo predecessore aveva ripetutamente ricercato manifestando inclinazione populistica verso torsioni autoritarie, ma la solitudine dell’uomo abituato ad essere la cuspide di un sistema che alle spalle ha soltanto un sistema che dimostrato fragilità ed é logorato da anni di riforme sempre invocate e mai praticate e trent’anni di guerra politica che hanno prodotto la gravidanza isterica di liste e partiti oramai ridotte al governo collettivo per poter testimoniare la propria vitalità.
Draghi non è e non sarà il curatore fallimentare di una situazione drammatica, né il taumaturgo che tutti si attendevano, deve essere assecondato e sostenuto lo spirito repubblicano che lo ha animato, il profondo senso dell’unità della nazione invocata come “dovere” e persino religioso, parlando ad un paese nel quale il “Signore” invocato attraverso le parole del Papa ha pur sempre un qualche ruolo politico.
Però è evidente che nel “Cahier des doleances” lungo al quale ha cercato di accompagnare delle risposte di medio e lungo e lunghissimo periodo vi é contenuta una velleità che non tiene conto volutamente della condizione stessa del sistema politico italiano, del logoramento delle sue istituzioni principali che non potranno riscattarsi solo attraverso la messe di denaro che l’Europa mette a disposizione ma anche attraverso un’adeguata capacità di auto-riformarsi dando vita e luogo ad una stagione neo-Costituente.
È necessario adeguare il nostro sistema istituzionale definendo i suoi rapporti con l’Unione Europea, é necessario correggere gli squilibri determinati dallo scellerato taglio del parlamento riconsiderando una riforma complessiva del bicameralismo, é urgente una riforma elettorale che non sia “furbetta” come tutte quelle partorite nella seconda Repubblica, abiti sartoriali per stagioni quinquennali che hanno trovato vita e morte in tempi così brevi generando la mostruosa stagione antipolitica che sembra essere cessata con l’avvento di Mario Draghi che con il suo discorso “politicissimo” ha rimesso la “chiesa al centro del villaggio”.
Ha concluso dopo aver discettato di emergenze e necessità, economiche, educative, fiscali, giudiziarie con la politica estera della quale ha ribadito con correttezza la posizione tradizionale del nostro paese correggendo tutte le clamorose sbandate dei populisti e della destra quando ha governato.
Con i russi e i turchi si deve parlare, ma non si può andare a braccetto, così come sono deprecabili i sistemi autoritari alla cinese.
Amicizia in Europa con i Partners principali e con le nazioni mediterranee, mentre l’impulso dovrà essere mantenuto sulla questione libica e sul vicino oriente Mediterraneo (Egitto e medio oriente).
Dobbiamo quindi guardare con fiducia ad un sicuro cambio di passo e di orizzonte della guida del Governo Italiano senza attribuirne aspetti miracolistici, incoraggiando la ripresa della politica democratica sperando faccia proprie alcune intuizioni e determinazioni.
Indietro non si torna e avanti si può andare purché si cambi e si colga l’essenza drammatica della crisi del sistema italiano.
Predisporre un piano vaccinale e organizzare il piano di aiuti economici sono punti dell’Agenda essenziali e alla portata; il resto é compito della politica ritrovare lo slancio perduto ormai da troppo tempo.