Quando a metà febbraio il camionista Franco Orlandi è arrivato con tosse e febbre in un pronto soccorso nella provincia di Bergamo, i medici hanno stabilito che fosse normale influenza e lo hanno rimandato a casa. Due giorni dopo, un’ambulanza ha riportato indietro l’83enne. Non riusciva a respirare.
L’Italia non aveva registrato un solo caso di coronavirus domestico, ma i sintomi del signor Orlandi hanno lasciato perplessa Monica Avogadri, l’anestesista di 55 anni che lo ha curato all’ospedale Pesenti Fenaroli. Non lo ha testato per il virus perché i protocolli italiani, adottati dall’Organizzazione mondiale della sanità, consigliavano di testare solo persone con un collegamento con la Cina, dove aveva avuto origine l’epidemia.
Quando ha chiesto se il signor Orlandi avesse un legame con la Cina, sua moglie sembrava confusa. Non si avventuravano quasi mai oltre il loro caffè locale, il Patty’s Bar.
”Cina?” Il dottor Avogadri ha ricordato che la moglie del signor Orlandi aveva risposto. “Non sapeva nemmeno dove fosse”.
Quello che la dottoressa Avogadri non sapeva era che il Covid-19 era già arrivato nella sua regione Lombardia, una scoperta fatta cinque giorni dopo da un altro medico della vicina Lodi che aveva infranto il protocollo nazionale dei test. A quel punto, la dottoressa Avogadri, ostacolata da quegli stessi protocolli, si era ammalata dopo giorni a prendersi cura del signor Orlandi e di altri pazienti. Il suo ospedale, invece di identificare e curare la malattia, stava accelerando la sua diffusione nel cuore dell’economia italiana.