La vittoria sovranista è a un passo dopo l’addio di Renzi dalla maggioranza. Ed è così che una sprizzante Giorgia Meloni scalda il Parlamento. Si presenta a suo modo, col suo tipico tono nero atto da chi si muove per la guerra e con le sue polemiche ricche di accuse poco velate, arricchite come sempre dai suoi discorsi da banditore del pesce.
Mentre Conte è al lavoro per cercare i senatori perduti, il centrodestra non vuole lasciare spazio all’offensiva del premier. E così la leader di Fratelli D’Italia evidenzia: “Il voto alla Camera — è la nota unitaria a sera — dimostra che la maggioranza non ha i numeri e la solidità necessaria per affrontare le sfide che attendono l’Italia”.
Ma ieri alla Camera avviene un colpo di scena, l’azzurra Renata Polverini, da tempo a disagio, alla seconda chiama segue il suo istinto (in mattinata aveva attaccato la Boschi per aver chiamato «transfughi» i possibili responsabili) e vota sì alla fiducia: “La crisi sarebbe irresponsabile. Non possiamo continuare a dire che tutto non va bene. Lascio FI, mi assumo le mie responsabilità come ho sempre fatto”, annuncia, tra la rabbia dei suoi “Ci ha sempre creato problemi, sai che perdita quella di una fascio-comunista…” e la Meloni, con un pizzico di sarcasmo condito da rabbia e frustrazione, dichiara: “Non ha mai fatto una cosa di destra in 10 anni”.
È comunque un colpo di scena, di immagine e di sostanza, che potrebbe avere un effetto trascinamento oggi, anche se nella nota si esprime fiducia: “Il Senato confermerà che il governo Conte è di minoranza, gli italiani meritano ben altro. Altre defezioni? Non credo”, tiene duro e spera Tajani.
Una situazione che solo in Italia si poteva creare e la vergogna si getta tanto a destra quanto a sinistra. Nessuno è preoccupato dell’interesse nazionale ma si assiste ad una vera e propria compravendita di benefici personali o di partito. Scene così lasciano senza parole e danno un’idea che nulla è cambiato e nulla cambierà.
Ieri lo scontro comunque era stato durissimo. Il premier non aveva ancora finito di parlare che già Antonio Tajani respingeva le avances: «Non avrà il nostro aiuto». Matteo Salvini sbuffava: «Abbiamo i senatori Ikea, chi salva il governo è complice».
Renzi ha consegnato il paese in mano ai sovranisti e per quanto si possa essere contrari con questo epilogo è la cruda verità, se la votazione di oggi non dovesse andare a buon fine ognuno si dovrà assumere le proprie responsabilità e vedere l’ascesa del sovranismo anche in Italia. Hanno fallito nell’impresa tempo orsono.
Ma nulla frega a Giorgia Meloni che il paese sia finito nel caos, lei crede realmente di avere le soluzioni in tasca esposte fino ad oggi in maniera più che superficiale. E nel suo discorso contro Conte, mai chiamato presidente ma solo «avvocato, d’ufficio però, perché non l’hanno scelto gli italiani», un «Barbapapà» adattabile a tutto, in «delirio di onnipotenza», che «per rimanere dov’è prima è di destra, poi di centro, poi di sinistra, populista, liberale, socialista, amico e nemico di Salvini, di Renzi, di Di Maio». Ma anche dai piccoli porte chiuse: nessuna fiducia né da Cambiamo di Giovanni Toti né dall’Udc di Lorenzo Cesa che «voterà no alla fiducia al governo».
This is the end per Giorgia Meloni che sta già pregustando con bramosia la caduta di Conte e quella poltrona tanto ripudiata sotto natiche nemiche, ma, tanto ambita per lei e i suoi. E così, mettendo le mani avanti e invitando Mattarella ad utilizzare due pesi e due misure, avvisa: “Siete sicuri che il presidente della Repubblica vi consentirà di governare in assenza di una maggioranza assoluta, dopo che nel 2018 si è rifiutato di dare l’incarico al centrodestra perché non c’era la certezza sui numeri? Pensate che le regole della democrazia valgano solo per il centrodestra? Valgono per tutti”.
E’ così che termina l’intervento denigratorio di Giorgia Meloni che, come un Condor alla vista di un animale ferito, non molla e non mollerà la sua presa fin quando non riuscirà a portare a casa la sua preda più ambita. Un governo sovranista.