Il 25 aprile è catarsi: Liberazione dal passato. Che gronda di dittature, di violenza, di guerra – e che guerra!-, di nazionalismi razzisti e beceri, di genocidi, di stermini subatomici; di passato che puzza di vecchiume e di conservazione culturale e politica – con sperequazione socio-economica atavica- sopravvissute alle proprie irresponsabilità e al primo terremoto dell’”ancien regime” del 1918.
Il 25 aprile è la fase aurorale di un popolo, in unisono con un intero continente, dopo un incubo collettivo subito da intere nazioni ed etnie – la notte della ragione – ma che forse ha pervaso schizofrenicamente anche i carnefici.
Il 25 aprile è un mito – talvolta declassato in rito radicato nell’ultima epopea storica di una nazione, pur divisa, anzi lacerata, con una maggioranza a lungo succube e silenziosa, ma con l’indignazione carsica, spesso prorompente in opposizione, rivolta, sacrificio affluenti verso la rivoluzione per merito di una minoranza poi vittoriosa.
Tale fiume in piena scorre non più tumultuoso e schiumeggiante, ma sempre fortemente motivato a sfociare in un nuovo mondo, da ricostruire con processi politici e istituzionali e possibilmente con condivisione sociale e politica. Scorre ordinato verso le urne – le prime veramente universali- per scrivere con un tratto di penna -in mano anche agli analfabeti non della vita- una svolta storica di scelta istituzionale e rappresentanza democratica.
E’ il 2 giugno 1946.
La partecipazione democratica subentra alla effervescenza rivoluzionaria di un anno prima, pur serbandone inizialmente la forte memoria. Poi tutti insieme (o quasi) al lavoro per scrivere le regole della nuova vita sociale e politica. Con spirito di unità nazionale – in parte ritrovata, in parte da costruire- si attraversa un anno e mezzo fino al varo della Costituzione all’inizio del 1948: atto fondativo del nuovo percorso politico e sociale del paese, ma nel sentire collettivo poi derubricato quasi ad atto formale, sottoscritto unitariamente da forze politiche ormai in conflitto reciproco, eterodirette nel nuovo clima della Guerra fredda. Il mito e le speranze della Liberazione hanno uno stigma sempre più “partigiano”, di fatto divisivo, non più evocante la rinascita nazionale. Invece resta condiviso e ufficializzato l’evento-avvento della Repubblica.
Il 2 giugno continua ad accomunare un paese, dalla fine del 1947 ininterrottamente in conflitto interno: ideologico fino al 1990, post-ideologico con la sopravvivenza del mondo “ad una sola dimensione” di egemonia culturale e politica made in USA, nonché di modello economico.
Tuttavia nel 2 Giugno il rito prevale sulla consapevolezza del significato strutturale, scritto con il sangue della Liberazione, poi inchiostro delle pagine della Costituzione. Senza questi due agganci all’anno precedente e al successivo, sulla Festa della Repubblica aleggia la retorica diffusa dal cielo dalle Frecce tricolori, la parata militare, i brindisi consumati nelle prefetture dalle alte cari- che dello stato; tra le quali non è stata esigua, nel corso dei decenni non solo lontani, la presenza di chi segretamente tramava contro il 25 aprile e la Costituzione repubblicana…!
Ai/alle diciottenni da alcuni anni viene consegnata la Costituzione. Iniziativa apprezzabile da parte di alcuni sindaci; ma, sradicati dal mito originario dei valori della Resistenza, senza la consapevolezza “di che lacrime grondi e di che sangue”, i 139 pilastri della vita democratica (soprattutto i Principi fondamentali e la prima parte) rischiano di restare nobili propositi di un lontano passato. Le dinamiche sociali – individuali e collettive- da ormai due generazioni vengono vissute dai giovani spesso in funzione di meccanismi di media-crazia. Pertanto è prioritario che i pilastri costituzionali siano assimilati almeno come segnali stradali, se non come pietre che lastrichino il cammino di ciascuno e della comunità nazionale.
Nell’inquietudine esistenziale e sociale di adolescenti e giovani; nella seduzione proteiforme dai mille tentacoli virtuali, senza consapevolezza della loro sconnessione con la realtà o del rischio di essere da essi performata; nella crisi valoriale sommatasi a quella culturale e ideologica; nella sconfitta delle promesse del “sol dell’avvenire”, da parte della dittatura del mercato egemone ma prima imputata delle criticità socio-economiche e ambientali del pianeta: quale prospettiva di vitalità e condivisione concreta per i principi della Costituzione, autentico Dna della Festa della Repubblica? Forse le tre crisi – strutturali la socio-economica e la ecologica, congiunturale quella sanitaria – potrebbero essere l’occasione per rilanciarli all’attenzione dei giovani, come salvagenti per non naufragare.
Il riconoscimento delle Istituzioni internazionali e sovranazionali, con le quali la Repubblica armonizza le proprie norme; la promozione concreta dei diritti alla salute e all’ambiente; il primato degli interessi pubblici e comuni su quelli individuali; quindi il prevalere delle forme di collaborazione sulle dinamiche competitive, come strumento privilegiato per affrontare le criticità: solo alcuni valori concreti della Costituzione che dovrebbero orientare operativamente i cittadini e i rappresentanti istituzionali.
La rimozione degli ostacoli , quindi la garanzia dell’eguaglianza di base, per permettere l’estrinsecazione delle potenzialità individuali; unita con il riconoscimento del diritto al lavoro e dei diritti dei lavoratori, normati 25 anni dopo il 2 giugno, del diritto alla salute altrove privatizzato al mercato: non solo principi, ma spesso anche strumenti – da rivendicare e difendere – con cui la Repubblica non abbandona ciascuno a se stesso e alle fredde leggi, o al far west, del liberismo capitalista, ancor più nelle situazioni di crisi.
Ancor più monito quando naufraghi siamo sedotti dalle sirene delle piccole patrie che sconfinano con redivivi nazionali, risucchiati da derive autoritarie, protette dai muri della paura; quando ognuno pensa di salvarsi da solo, magari in competizione e in scontro con gli altri e in violazione delle leggi della comunità.
La consapevolezza che ci si salva insieme, oppure no, è il Dna della Costituzione della Repubblica: scritta in nome della condivisione e collaborazione tra valori, ideali, ideologie differenti ma accomunati da una visione alta e alternativa a quella miope degli egocentrismi senza prospettiva.
Viva l’Italia, viva la repubblica e viva la Costituzione.