Con Carlo Tognoli scompare una personalità esemplare delle generazione di politici nati dopo la seconda guerra mondiale, un ragazzo che aveva dovuto costruire la sua formazione pressoché in solitudine, era rimasto orfano in tenera età, ed aveva aderito giovanissimo alle fila del Partito che nella Città di Milano rappresentava la più longeva e feconda tradizione politica e amministrativa.
Fu in quella temperie che incontrò l’area politica che nel Psi era restata fedele alle radici storiche più antiche che era rappresentata dagli eredi riformisti della tradizione Turatiana: gli autonomisti che avevano in Mazzali, mitico segretario della federazione a metà-tempo con la sua attività di pubblicitario e Antonio Natali i leader storici, gruppo nel quale si fece presto strada quello che divenne in seguito il pupillo di Pietro Nenni ovvero mio padre Bettino Craxi.
Craxi padre aveva il fiuto politico e soprattutto l’anima del talent-scout, non gli fu difficile attrarre attorno a sé dei giovani brillanti che costituirono in seguito l’ossatura di una vera e propria squadra politica che restò unita politicamente ed umanamente sino a che è stato possibile.
Insieme a Giorgio Gangi, Paolo Pillitteri, Giovanni Manzi, Ugo Finetti, ai quali si unì il brillante Claudio Martelli che conquistò l’ammirazione e la considerazione di mio padre. Carlo Tognoli iniziò, nel suo ruolo di ufficio stampa alla federazione a mostrare le sue metodiche politiche ed organizzative che trasferì in seguito nella sua carriera amministrativa che iniziò nella provincia di Milano, a Cormano, dove fu inviato a farsi le ossa; prima come consigliere comunale poi come assessore.
Ritornò nel Capoluogo dove ricoprì la carica di Assessore ai Servizi sociali, al patrimonio ed infine ai lavori pubblici. Un cursus honorum tutto politico e partitico che gli conferì, sebbene giovanissimo, il titolo per poter succedere ad un Sindaco di Milano, anch’egli socialista, particolarmente apprezzato in città.
Quella che apparve un’imposizione ed una prepotenza di Bettino Craxi (Giorgio Bocca perfidamente liquidò la sua nomina con un odioso elzeviro sull’Espresso: A Milano ci mettono il povero orfanello…”) si rivelò un grande investimento politico ed un grande ringiovanimento della classe dirigente dell’epoca. Un trentottenne per la prima volta ascese il più alto scranno di Palazzo Marino (era il 1975) dove ci rimase per undici anni, forse gli anni più importanti e decisivi della rinascita della Città.
Carlo aveva scuola e tempra, conosceva a menadito non soltanto i codici ed i regolamenti amministrativi ma conosceva a fondo la Città, la sua crescita smisurata negli anni del boom che portarono in fretta le contraddizioni della diseguaglianza sociale; l’immigrazione interna degli anni sessanta che aveva così ben descritto nel docu-film, lo chiameremmo ora, che aveva dato alla luce assieme al suo sodale-rivale di tutta la vita: Paolo Pillitteri.
Tognoli non si perse mai d’animo e cercò di offrire speranza ad una città ripiegata su se stessa negli anni della contestazione che sfociarono successivamente nel terrorismo, fu lui ad accorrere al capezzale di Walter Tobagi suo grande amico trucidato da un gruppo di fanatici criminali politici.
Assieme alla città che richiedeva solidarietà assistenza, egli seppe accompagnare il rilancio delle attività del terziario avanzato per le quali l’amministrazione seppe preparare il terreno ideale affinché la Città gradualmente da industriale si trasformasse in una grande metropoli dove prevalessero i servizi per la produzione, un grande piano per i trasporti, un’immenso investimento sul giacimento culturale della Città, una riscoperta dei tanti tesori nascosti della Città.
Da un lato Carlo aveva conservato la sua devozione per Turati e per i grandi sindaci Milanesi, come Caldara, Filippetti e Greppi, ma il suo cuore batteva anche per Maria Teresa di cui ogni milanese conservava una gratitudine storica per aver saputo dotare la Città di una sua fisionomia “regale” ma attenta alle evoluzioni sociali della grande città che domina la pianura padana.
Gli anni ottanta sono quindi un fiorire di iniziative che portano l’impulso di un Sindaco che poco a poco incontra il favore generalizzato della sua Città, è un uomo della amministrazione pubblica prima ancora che un uomo di partito; tuttavia la sua guida si trova a coincidere con la stagione più felice dei socialisti italiani che occupano le istituzioni più prestigiose del paese: la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Consiglio.
E’ a Milano che nel 1986 viene firmato l’atto unico che sancisce il Consiglio Europeo ed è Tognoli a fare il padrone di casa al Castello Sforzesco, la Città sta riconquistando il blasone internazionale che merita ed ha primo amministratore di tutto rispetto.
Sapeva unire la sua capacità organizzativa all’intuito per la valorizzazione delle cose forse considerate superflue ma che soddisfacevano e rendevano il cittadino certo e sicuro di avere una guida salda alle redini della Città. Fu innovatore perché per la prima volta nella storia si sottoponeva ai microfoni aperti in una televisione privata sorgente ogni lunedì.
I milanesi avevano preso in simpatia Tognoli perché il suo garbo, la sua bonomia, il suo acume non destava alcuna reazione di repulsione; era rispettato da amici e da avversari, era persino benvoluto dalla stampa di tendenza comunista radicale che non risparmiava critiche al PSI ed alla sua guida che volentieri sottraeva Tognoli dal mazzo delle persone cui rivolgere atti di ostilità.
Nel Partito era benvoluto ma anche temuto; il Psi a Milano era rimasto di tendenza autonomista e certamente legato alla sua guida nazionale, ma in Città era identificato innanzitutto con lui. Il cambio di alleanze imposta per un breve periodo dalla necessita di trasferire anche a Milano l’alleanza di Centro-Sinistra non lo trovò pienamente soddisfatto, in parte s’incrinò anche la sua volontà di restare troppo a lungo sulla poltrona di Sindaco dopo tre mandati; fu eletto al Parlamento e ricoprì la prestigiosa carica di Ministro in due occasioni. A Nell’interregno fra queste due esperienze Craxi lo volle a Via del Corso, fu vice-segretario, ma in realtà la sua vera vocazione restava quella del grande amministratore che seppe trasferire all’interno dei due governi di pentapartito; gli ultimi.
Il 1° Maggio del 1992, dopo la sua rielezione in Parlamento, ricevendo il primo avviso di garanzia assieme a Paolo Pillitteri simbolicamente la sua carriera politica finì. Aveva solo 54 anni. Furono quelli che seguirono gli anni peggiori che segnarono lui come un’intera generazione di socialisti.
L’uomo più amato in città, nella incredulità generale era rimasto invischiato nel gorgo di Tangentopoli, improvvisamente nella polvere lui assieme alla squadra dei socialisti con la quale aveva costruito, non soltanto un’alternativa politica ed una prospettiva in città e nell’intero paese, ma aveva costituito un nucleo comunitario che poteva considerarsi una vera e propria famiglia allargata.
La passione per gli studi storici sulla città e sul socialismo milanese costituirono per lui un’alternativa di vita, il suo prestigio lo riportò a ricoprire ruoli onorari in fondazioni prestigiose della città, tuttavia l’orologio della sua vita che era la politica si era rotto per sempre.
Non volle mai stare in prima fila nei nostri tentativi di ricostruzione, ci ha sempre guardato con affetto e ammirazione, riteneva che il suo tempo fosse finito. Ed è quella tristezza in fondo al cuore che ha segnato quella generazione. Quando a Londra in un meeting di progressisti europei incontrai l’ex Sindaco Socialista di Barcellona Maragall mi disse che si era ispirato all’esperienza dei socialisti milanesi per il rilancio della città, si raccomandò che gli salutassi “Carlo”. Era apprezzato anche al di là delle mura spagnole che cingono la città.
Ho visto per l’ultima volta nella mia vita Carlo Tognoli ad Hammamet, giusto un anno fa al fianco della sua amata Dorina. Erano per me figure famigliari, ero devoto a Carlo come lui lo fu lungamente verso mio Padre Bettino. Lo tormentava una malattia ed il Covid ha finito per indebolirlo portandolo via. Io sono convinto che egli verrà ricordato come merita: Un grande Sindaco, Un Grande Socialista, Un uomo profondamente buono.