A cavallo tra il XX° e il XXI° secolo, precisamente a metà degli anni novanta dell’Ottocento, il Partito socialista italiano era in piena ascesa e il sentimento e l’animo a favore dei diritti sociali si diffondeva a macchia d’olio in tutta la penisola.
I giornali del partito erano numerosi ma, molti di essi, erano a tiratura limitata e, alcuni di loro, rappresentavano solo realtà circoscritte.
Dopo il IV congresso socialista di Firenze si decise di creare un giornale nazionale che potesse arrivare in tutte le piazze d’Italia.
La prima sottoscrizione a livello nazionale riuscì a mobilitare diversi socialisti e si riuscì a raggiungere la quota di 3000 abbonamenti: uno dei primi abbonati fu il filosofo liberale Benedetto Croce.
Precisamente 105 anni fa, il 25 dicembre 1896, a Roma, proprio nel giorno di Natale, nasceva l’Avanti. Non fu un caso che la prima pubblicazione avvenne proprio nel giorno della nascita di Cristo.
Infatti l’Avanti era nato per promulgare da sempre i valori cristiani e dare voce e sostegno alle ragioni degli ultimi, degli oppressi e dei più poveri e indifesi.
Proprio nell’iconografia socialista di fine 1800, non era infrequente il riferimento a Gesù quale “primo socialista della storia”.
Il primo direttore fu Leonida Bissolati. Anche Andrea Costa aveva precedentemente fondato un altro giornale dallo stesso titolo: Periodico socialistico settimanale” “Avanti!”, il cui articolo di fondo iniziava con «Avanti alla luce del sole e a bandiera spiegata», concludendo «Coraggio e avanti: ci accompagnano i voti di milioni di oppressi».
Di qui si passa
Il primo numero fu un manifesto politico-ideale identitario del nuovo giornale. Il direttore Bissolati, rispondendo direttamente al Presidente del Consiglio e al Ministro dell’Interno dell’epoca Antonio Starabba, che avevano ammonito i dirigenti e gli iscritti al neonato Partito socialista italiano con l’intimazione: “di qui non si passa”, Bissolati rispose: “Di qui si passa”, manifestando la fede e la certezza “scientifica” nell’affermazione delle ragioni dei socialisti e nella conquista del potere da parte dei lavoratori:
«DI QUI SI PASSA Mentre lo Starabba, a legittimare i delitti commessi dal suo Governo in danno della libertà, e le violenze nuove che meditava contro gli operai e i socialisti, ci intimava per la seconda volta: “di qui non si passa” noi attendevamo tranquillamente a preparare l’uscita del nostro giornale. Con questo fatto noi rispondevamo e rispondiamo alla sfida lanciataci.
Rispondiamo come quell’antico che alle sciocchezze di chi negava il moto rispondeva semplicemente camminandogli davanti.
Eravamo, or son pochi anni, un pugno di persone compassionate come vittime di un’allucinazione di cui non era il caso di occuparsi con serietà, soggetto di ameni discorsi e di allegra canzonatura; poi, quando le parole nostre cominciarono a trovar eco fra il popolo che lavorava, fummo trattati da malfattori; ma la persecuzione ci rese più forti di numero e di conscienza così da costringere lo stesso persecutore nostro d’oggi, lo Starabba, a confessare che contro di noi, contro l’idea nostra, l’uso della forza era, nonché assurdo, dannoso.»
«Ed ecco che oggi invece questo signore – il quale non agisce di suo capriccio, ma obbedisce agli istinti del variopinto partito conservatore che gli sta dietro – non trova di poter far nulla di meglio contro di noi che riprendere, con un po’ meno di chiasso e con maggiore ipocrisia, i metodi del sudicio Crispi.
Così, dopo avere proclamato solennemente in Parlamento essere follia sperar di sopprimere il socialismo perché tanto varrebbe tentar di sopprimere il pensiero; dopo aver riconosciuto che ogni attentato violento al socialismo e al pensiero costituisce un attentato contro la moderna civiltà, lo Starabba si accinge precisamente all’impresa di sopprimere la civiltà, di soffocare il pensiero.
E per questo appunto, on. Starabba, che noi passiamo malgrado i vostri divieti.»
«Noi passiamo a esercitare quella influenza che ci spetta nelle lotte pubbliche, nella vita economica, nello sviluppo morale; passiamo in onta a voi, come passammo in onta a Crispi; e abbiamo la forza di passare, vincendo le vostre resistenze, perché arrestare il socialismo non è possibile senza arrestare quel moto immenso di trasformazione che si opera nella società e che si ripercuote nelle coscienze.
Il socialismo, on. Starabba, non è una chimera di illusi che vogliono rimodellare il mondo secondo il loro sogno, ma è la coscienza netta e precisa delle necessità imperiose che urgono, nella pratica della vita, la maggioranza degli uomini. (…)»
«Ebbene: il socialismo non è che il riflesso e la formula di questo pensiero, che l’esperienza dei dolori e delle lotte d’ogni giorno educa nelle masse lavoratrici.
Or voi potete bensì mandare i vostri poliziotti nei luoghi dove questo pensiero si elabora, mandarli a sciogliere le organizzazioni operaie e i circoli socialisti; potete, commettendo reati previsti dal vostro codice penale, sopprimere per gli operai e pei socialisti i diritti elementari di riunione, di parola, di associazione promessi dal vostro Statuto; potete elevare di nuovo a reato il diritto di sciopero, saldando nuovamente al collo dei salariati moderni il collare dei servi, in sfregio ai principii proclamati dalla rivoluzione borghese; potete scapricciarvi a mandare tratto tratto qualche socialista in galera o alle isole; potete meditare, voi rappresentante di una classe andata al potere coi plebisciti, quanti attentati vi piaccia contro il suffragio popolare; voi potete far tutto questo e anche più, ma non potete fare che questi atti di brutale reazione non dimostrino anche più chiaramente che la causa della emancipazione operaia e la causa del socialismo sono tutt’uno colla causa delle libertà di pensiero e del progresso civile. (…)
Vi par dunque che si passi, Marchese?»
Oggi più che mai, la lettera di Bissolati, è di attualità. Le libertà vengono precluse, i diritti calpestati e con un mondo sempre più nelle mani dei pochi sono molte, moltissime, le persone lasciate indietro, i cosiddetti oppressi.
Nonostante i vari ciarlatani della provvidenza che si sono susseguiti negli anni utilizzando come arma le paure e come cura il populismo, la politica è finita “zitta,zitta” nelle mani dei padroni privati, o addirittura al servizio di altri Stati che non hanno mai avuto il benché minimo interesse di tutelare e sfamare i diritti degli ultimi.
La rivoluzione in “Avanti!”
Il quotidiano socialista era composto da quattro facciate, di formato “lenzuolo”. Una copia costava 5 centesimi di lira, l’abbonamento annuale 15,00 Lire, quello semestrale 7,50 Lire, quello trimestrale 3,00 Lire, quello mensile 1,25 Lire.
La sede dell’Avanti era nel Palazzo Sciarra-Colonna in Via delle Muratte a Roma). I fogli passarono da quattro a sei, arricchendosi della cronaca di Milano.
Dopo la nascita del giornale scoppiarono diverse rivolte per il pane, il lavoro e contro le imposte, duramente represse dal governo.
A Milano, il 7 maggio del 1898, il governo decreta lo stato d’assedio, affidando i pieni poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris, il quale fa aprire il fuoco dei cannoni contro la folla e ordina all’esercito di sparare contro ogni assembramento di persone superiore alle tre unità.
Restano uccise centinaia di persone e, accanto ai morti, si potranno contare oltre un migliaio di feriti più o meno gravi. Il numero esatto delle vittime non è mai stato precisato.
Due giorni seguenti, sempre il generale, appoggiato dal governo, fa sciogliere associazioni e circoli ritenuti sovversivi e fa arrestare migliaia di persone appartenenti ad organizzazioni socialiste, repubblicane, anarchiche, fra cui anche alcuni parlamentari: tra cui Filippo Turati (assieme alla sua compagna Anna Kuliscioff), Andrea Costa, Leonida Bissolati, Carlo Romussi (deputato radicale) e Paolo Valera.
Dopo l’episodio, tutti i giornali antigovernativi furono messi al bando e il 12 maggio 1898 l’intera redazione dell’Avanti! venne messa agli arresti.
L’obiettivo del nostro giornale, ancora agli esordi, è quello di rinnovare lo spirito e gli ideali, propri, di quei padri fondatori del socialismo italiano che si sono sempre battuti per i diritti dei dimenticati e per le ingiustizie; alle volte anche rinnegando le proprie libertà o, in alcuni casi, perdendo addirittura la vita.
Ora più che mai, abbiamo l’assoluto bisogno di rinnovare quello spirito e quelle battaglie fatte per i diritti degli ultimi, tutt’oggi dimenticati da gran parte della politica; causa della crisi di rappresentanza.
Attualmente, a causa di interessi di facciata e della tanta ipocrisia messa in campo per venire eletti, sono in molti a fare propri quelli ideali, in maniera opportunistica, ma sono in pochi, pochissimi, a portare realmente avanti quelle battaglie. Ora, per sempre e con coraggio: Avanti!