Si è da poco conclusa l’ennesima crisi di governo che ha visto Mario Draghi ricevere da Mattarella l’incarico di Presidente del Consiglio. Ma, assieme all’ex governatore BCE, chi sono i vincitori e i vinti di questa crisi così surreale nel bel mezzo di una pandemia e con una crisi economica sempre più evidente? Di sicuro Matteo Renzi, che può intestarsi il merito di aver sfrattato da Palazzo Chigi Giuseppe Conte.
Il Senatore di Rignano, però, si dirà che non ha in definitiva ottenuto nulla di più di quanto aveva in precedenza, anzi ha visto addirittura ridursi la rappresentanza al governo di Italia Viva ma in realtà è riuscito a dimostrare la sua forza politica, intestandosi per la seconda volta in poco più di 2 anno il varo del nuovo esecutivo.
Certo, se riuscirà o meno ad avere un rilancio personale e a capitalizzare questo risultato è ancora tutto da vedere, ma comunque gli consente di avviare il progetto di costruzione di una grande area moderata.
Il partito democratico, invece, si mostra ormai assuefatto al sistema proporzionale, riuscendo a mantenere la propria centralità anche nel nuovo esecutivo, pur non essendo la prima forza in parlamento, logorando sempre di più la posizione del movimento 5 stelle.
Nulla di nuovo è vero, ma pur sempre la possibilità di sedersi al tavolo della gestione dei fondi che arriveranno dal Recovery fund, avendo un ruolo in un processo che condizionerà il destino del paese nei prossimi anni.
Altro vincitore è sicuramente Matteo Salvini che, in modo abbastanza inaspettato, con l’appoggio a Mario Draghi e l’ingresso al governo, riesce ad uscire dall’angolo in cui, dopo la fine dell’esecutivo Conte I, era finito ed in più riesce ad avere voce in capitolo nella gestione delle risorse economiche in arrivo; cosa molto utile ai fini del consenso di gran parte dell’elettorato del Nord.
Inoltre, con l’improvviso e chissà quanto veritiero abbandono della veste sovranista, il leader del carroccio può pensare ad un ingresso nel PPE, che lo accrediterebbe come leader di governo; certo questo cambiamento è stato dettato anche dall’esigenza di prevenire eventuali malumori che ne potrebbero minare la leadership a favore di Zaia o di Giorgietti.
Differente è il discorso per il movimento 5 stelle per il quale, questa crisi, è l’ulteriore tappa di una cammino sino ad oggi irto di difficoltà e di abbandoni, ultimo quello di Alessandro Di Battista, che sconta la differenza del passaggio dal fare semplicemente politica all’essere forza di governo che deve prendere decisioni anche non gradevoli.
Di sicuro occorre un cambio di passo, o il prezzo per mantenere in vita il parlamento e rimanere al governo porterà il movimento alla disgregazione totale e alla definitiva sparizione: insomma un percorso molto simile a quello di tanti altri partiti della “casta” tanto avversata.
In ultimo, la posizione di Giorgia Meloni, la cui scelta di restare all’opposizione rappresenta forse la scommessa maggiore, perché se da un lato Fratelli D’Italia rischia di restare fuori dal dialogo politico, dall’altro potrebbe ritagliarsi un ruolo di reale alternativa non avendo a differenza del resto della Lega e di Forza Italia che devono comportarsi da forze di governo alcun problema di visibilità.
Ma alla fine chi ha perso al tavolo della crisi di governo?
Può sembrare paradossale ma i partiti stessi che per l’ennesima volta sono stati costretti a rinunziare al proprio ruolo, creando una maggioranza che pur garantendo una stabilità all’esecutivo Draghi è al contempo il simbolo della crisi forse irreversibile del sistema politico italiano.