E così al Senato l’esito è stato come previsto. Tutto rimandato a settembre. Hanno accantonato l’ipotesi del ministro d’Incà solo perché si sono preventivamente contati, e i numeri c’erano. Scopo raggiunto. Dadone e Patuanelli – ministri – non hanno ritenuto di esprimere fiducia in se stessi, non si capisce se per uno slancio di autocritica o per una inconsapevolezza di ciò che facevano. Non ha importanza, era solo una nota di colore. Ora i baldi peones del primo mandato possono dormire sonni tranquilli. E l’Europa – che i media riportavano in apprensione – può tirare un sospiro di sollievo. A dirla tutta, non si comprende cosa abbia ora da stare serena la UE, dato che comunque perde pezzi da ogni dove, ma soprattutto non ha capito che i balli sono ancora da iniziare. Eh si, perché appena Mosca porterà a termine l’operazione prevista – e non manca molto – farà una proposta di pace. Ovviamente e legittimamente da vincitore. L’incauto Occidente respingerà sdegnato. Dunque? Penso occorra citare “Il Gladiatore” per descrivere la probabile reazione del Cremlino: “Al mio cenno, scatenate l’inferno”.
Dimissioni Draghi, il no di Mattarella.
Trattandosi di una crisi extraparlamentare, sia pure originata da un voto parlamentare, il Presidente della Repubblica ha deciso di rifiutare le dimissioni del Presidente del Consiglio e di rinviarlo alle Camere per la giornata di mercoledì per la verifica del rapporto fiduciario.
La scelta della parlamentarizzazione della crisi è indubbiamente la più adeguata, rispetto alla possibile alternativa dell’apertura di consultazioni per un nuovo esecutivo, per due ragioni di fondo. La prima è che porta ciascuno ad assumere le proprie responsabilità in Parlamento, in modo trasparente e in contraddittorio. La seconda è perché si basa su un’ipotesi realistica di ricomposizione del rapporto fiduciario per la quale tutta la maggioranza dovrebbe attivamente lavorare. Le ragioni che hanno motivato la nascita dell’attuale esecutivo sono ancora tutte pienamente valide.