Ad un anno dalla riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani nulla è cambiato, se non in peggio.
I Talebani da quando hanno preso il potere riconquistando Kabul hanno calpestato senza vergogna diritti umani che in Afghanistan i cittadini stavano iniziando a pregustare; dopo la conquista avvenuta nel 2001 da parte dell’Occidente.
Le minoranze sono state perseguitate, le proteste pacifiche sono state represse con la violenza e le donne vengono sempre più condannate ad una vita di stenti e continue repressioni.
Le uccisioni per rappresaglia e le esecuzioni extragiudiziali sono all’ordine del giorno e vengono eseguite, quasi sempre, per stabilire il potere tramite il terrore.
Nel documento “Il dominio dei talebani: un anno di violenza, impunità e false promesse”, Amnesty International ha riportato torture, uccisioni per rappresaglie e sgomberi forzati di oppositori.
A nulla sono servite le false promesse dei talebani che avevano garantito di rispettare i diritti delle donne e la libertà di stampa e di attuare un’amnistia per i funzionari del deposto governo civile.
Yamini Mishra, direttrice di Amnesty International per l’Asia meridionale ha dichiarato: “Un anno fa i talebani s’impegnarono pubblicamente a proteggere e a promuovere i diritti umani. Invece, la velocità con cui stanno smantellando 20 anni di passi avanti è impressionante. Ogni speranza di cambiare le cose è rapidamente svanita. I talebani governano mediante una violenta repressione nella completa impunità. Detenzioni arbitrarie, torture, sparizioni, esecuzioni sommarie sono tornate all’ordine del giorno. Le donne e le ragazze sono state private dei loro diritti e il loro futuro, senza accesso all’istruzione e senza la possibilità di partecipare alla vita pubblica, si prospetta gramo”, sottolinea Mishra.
In “Talebania”, regione ideologica e non geografica, non esiste protesta pacifica e l’uso eccessivo della forza bruta è una costante. In diverse città le manifestazioni sono state interrotte picchiando e sparando contro manifestanti inermi.
I difensori dei diritti umani e gli attivisti della società civile sono stati perseguitati con intimidazioni, minacce e in alcuni casi sono stati persino uccisi.
La libertà di stampa non è ammissibile e, dopo l’entrata in vigore di una legge che vieta ai giornalisti di pubblicare storie “contrarie all’Islam” o “offensive nei confronti di figure di rilevanza nazionale”, denunciare o contestare non è più consentito.
Solo negli ultimi 12 mesi diversi giornalisti, più di 80, sono stati arrestati e torturati per essersi opposti al sistema. Uno di loro ha raccontato ad Amnesty International come funzionano i pestaggi e le ritorsioni:
“Mi hanno picchiato e frustato così duramente sulle gambe che non riuscivo a stare in piedi. I miei familiari hanno firmato un documento in cui c’era scritto che, dopo la mia scarcerazione, non avrei parlato di cosa mi era successo; se l’avessi fatto, i talebani avrebbero avuto il diritto di arrestare tutta la mia famiglia”.
Per i Talebani, violare gli editti fatti da loro o aver lavorato per il precedente governo rappresenta di per sé una valida motivazione per picchiare, torturare e uccidere.
Molti civili sono stati arrestati illegalmente e picchiati coi calci dei fucili o frustati. Una manifestante, Saiba, ha raccontato all’ong come i talebani le hanno procurato lividi in ogni parte del corpo:
“Non c’era un tribunale, non c’erano le accuse, non c’era una procedura equa. Venivamo prese in mezzo alla strada, tenute in una prigione privata per parecchi giorni senza poter parlare con gli avvocati, i nostri parenti o altri funzionari. Alcune delle donne e delle ragazze che erano nella stessa mia stanza non sono più tornate e nessuno sa cosa sia loro successo”.
Nel giro di un anno vi sono state centinaia di esecuzioni extragiudiziali. Molti cadaveri avevano fori di proiettile o segni di tortura. Decine di persone sono scomparse a causa del loro lavoro nel precedente governo o perché sospettate di far parte della resistenza contro i talebani. Di loro non si è più saputo nulla.
La vicenda del povero Jalal, che aveva prestato servizio nelle Forze nazionali afgane per la difesa della sicurezza, spiega bene la situazione.
Nonostante i talebani avessero fornito una “lettera di perdono” allo stesso Jalal, in seguito, è stato arrestato dai talebani e portato in una località sconosciuta.
La testimonianza del suo amico, Torab Kakar
“I talebani gli hanno legato le mani dietro la schiena, lo hanno incappucciato e hanno iniziato a picchiarlo di fronte alla moglie, ai bambini, ai genitori e ai fratelli più piccoli, che urlavano e piangevano”.
La famiglia si era allarmata per la scomparsa e si era rivolta alle autorità per sapere dove fosse il ragazzo ma il capo locale dei servizi segreti aveva fatto presumere che non ci fosse più nulla da fare per il povero Jalal e li ha minacciati intimando loro di smettere di cercarlo.
Vincitori e vinti
Come spesso accade quando si vuole costruire un impero del terrore, c’è sempre il bisogno di tenere ancorati alla propria mangiatoia una manica di fedelissimi e vincitori, che possano sfogare la propria frustrazione sui vinti (“poveri illusi” che ambivano al cambiamento).
Dopo la vittoria dei Talebani e la riconquista delle città, nelle settimane successive, ci sono stati diversi sgomberi forzati di persone non appartenenti all’etnia pashtun – soprattutto hazara, turcmeni e uzbechi – dalle loro case e dai loro terreni agricoli. Facendo così, chi era salito al potere aveva ricompensato i suoi seguaci.
Diverse persone sono rimaste senza la propria casa e, secondo stime delle Nazioni Unite, il numero degli sfollati interni era cresciuto di oltre 820.000 persone.
Atrocità sulle donne
Mentre i vincitori del ripristino del regime sono ancora da stabilire le eterne sconfitte dal ritorno dei talebani sono le donne.
Da quando si sono insediati i talebani, le donne hanno assistito ad una sottomissione sempre più opprimente e violenta. In alcuni casi, le donne vengono usate per punire i familiari.
E’ terribile la vicenda della povera Linda, moglie di un ex membro delle forze di sicurezza, che a soli 22 anni e con un figlio in attesa all’ottavo mese di gravidanza è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco da due talebani a bordo di una motocicletta. Insieme a lei sono stati uccisi due figli di due e quattro anni.
Alcune vengono ammazzate a sangue freddo altre vengono arrestate, torturate e stuprate solo per aver preso parte a manifestazioni pacifiche in favore dei loro diritti e contro le crescenti restrizioni che le stanno privando della libertà.
I talebani hanno eliminato il diritto all’istruzione per milioni di bambine, condannandole all’ignoranza. Quando il 17 settembre 2021 le scuole elementari sono state riaperte, i talebani hanno vietato alle alunne dal sesto grado in poi di tornare a scuola, sostenendo che si trattava di un provvedimento temporaneo in attesa di assumere un maggior numero di donne insegnanti e di assicurare condizioni “appropriate” per la segregazione di genere nel campo dell’istruzione. Ma sono solo bugie, ad oggi, nessuna di queste misure è stata mai attuata.
Meena, un’insegnante di 29 anni di Kabul, ha confessato di essere disperata per il futuro di sua figlia:
“La storia si ripete. Guardo la mia uniforme, ricordo i giorni in cui si stava a scuola tutte insieme, noi insegnanti e le alunne. Ora non ho altra scelta che stare a casa”
“Non possiamo stare fermi a guardare mentre i diritti umani di un’intera popolazione sono al collasso. Una decisa, significativa e unitaria risposta internazionale è l’unica speranza per uscire dall’incubo che gli afgani e le afgane stanno vivendo da un anno”, ha concluso Mishra.
Il comportamento e il menefreghismo da parte dell’Occidente, impegnato solo ed esclusivamente nella guerra contro Putin, è vergognoso. Gli stati occidentali hanno un obbligo morale e hanno pesanti responsabilità sull’Afghanistan non si può far finta di nulla. Altrimenti 20 anni di guerra e sono serviti solo per far arricchire qualcuno.