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Salvo Andò: “Equivoci e difficoltà della maggioranza larga”

by Rosario Sorace

Mario Draghi si affaccia sulla scena della politica italiana ed è stato evocato, non solo da Italia Viva che ha aperto la crisi di governo, ma anche, da una vasta platea di personalità che lo ritengono a ragion veduta un autorevole e una qualificata figura in grado di consentire al Paese quel salto di qualità necessario che non sembrava esserci in questa fase. Ecco il giudizio di Salvo Andò su questo momento nodale che stiamo vivendo.

Non sarà facile per Draghi mettere insieme una maggioranza che lo sostenga in Parlamento senza se e senza ma, nonostante gli aiuti che sicuramente avrà da alcuni leader politici. I partiti e gli schieramenti sono molto divisi al proprio interno, soprattutto quelli da sempre ostili al governo istituzionale.

Hanno spiegato che si riservano di ascoltare Draghi; solo dopo decideranno la linea da tenere. Draghi in questi mesi in più occasioni ha parlato di ciò che serve all’Italia per risollevarsi, spiegando che vanno affrontate le emergenze sanitarie ed economiche con tutte le misure in grado di limitare il disagio sociale, ma che occorre anche guardare oltre, al dopo pandemia. Si tratta di utilizzare questa crisi, insomma, come opportunità per risolvere storiche criticità del sistema paese, mai affrontate con la necessaria convinzione.

Sembra dalle cose dette da Draghi in questi mesi che i provvedimenti urgenti da prendere per la rinascita del paese debbano non solo consentire di superare le difficoltà contingenti, ma anche di affrontare criticità storiche mai affrontate con la giusta determinazione.

Si tratta, insomma, di rifare l’Italia, guardando al di là dell’emergenza, di ripensare il paese, che ha bisogno non soltanto di manovre economiche coraggiose, ma di riforme istituzionali tali da consentire un reale rinnovamento della cultura politica. Si tratta di riorganizzare il sistema politico sempre più destabilizzato, di ripoliticizzare il paese, sulla base di una cultura politica condivisa che promuova un nuovo umanesimo che possa cancellare le aberranti profezie con cui i leader dell’antipolitica hanno cercato in questi anni di liquidare doveri e narrazioni che connotavano la civiltà politica della Repubblica, nel nome di un nuovismo che si è limitato a processare un passato che conoscevano poco e male.

Le nuove élites hanno cercato di legittimarsi creando profonde divisioni imposte, così dicevano, dall’obbiettivo di rigirare come un calzino il Parlamento e il Paese. Hanno invece esasperato le fratture che già c’erano, hanno radicalizzato le contrapposizioni politiche, incitato all’odio sociale per poter contare su una platea di tifosi – a cui promettevano di decidere tutto attraverso nuove forme di democrazia diretta – che dovevano costituire il nerbo di una nuova opinione pubblica, decisa a rottamare l’esistente non si sa bene per realizzare che cosa.

Ha fatto bene Draghi, accettando l’incarico propostogli dal Capo dello Stato a rendere omaggio al Parlamento, al ruolo dei partiti da consultare dando a tutti la stessa dignità, insomma a rimuovere da se l’immagine del tecnico che sostanzialmente non risponde a nessuno e che porta avanti una strategia di rilancio dell’economia fatta di lacrime e sangue.

Il suo governo non sarà né di destra, né di sinistra, ma sarà un governo politico nella misura in cui riuscirà a mettere insieme personalità di indiscussa competenza professionale e personalità politiche rappresentative dell’intero schieramento partitico che sosterrà il governo.

Con il governo Draghi si annunciano clamorose novità che possono portare anche ad una scomposizione e ricomposizione del centro destra perché la Lega che diventa europeista costituisce una clamorosa novità. Certo, dovuta al fatto che la politica economica annunciata da Draghi, tutto sommato, appare per i leghisti una linea patriottica.

E’ un tentativo molto serio di riorientare la politica estera leghista in senso europeista. E tutto ciò giustifica il cambiamento di campo di Salvini da leader dell’antieuropeismo a leader di un nuovo europeismo che lo porterebbe anche a prendere in considerazione l’ingresso in un gruppo europeista come quello del partito popolare o quello dei Verdi.

Pare che la svolta europeista annunciata, sia pure con qualche ambiguità da Salvini, debba essere presa sul serio. È un fatto di grande significato politico che la Lega prenda adesso in Europa le distanze dai sovranisti di ”Identità e democrazia”. Si tratta di un clamoroso cambio di linea rispetto al quale la Lega non potrà tornare indietro, perché rischierebbe di spaccarsi.

Non è un mistero che su questa scelta revisionista di Salvini abbia inciso il fatto che, una parte della Lega, la cosiddetta Lega di governo, degli Zaia, Giorgetti, Maroni sia stata assolutamente contraria a stare all’opposizione di un governo guidato da Draghi. È quella parte della Lega la quale teme di poter perdere i contatti con il ceto medio del Nord, con la rete delle piccole imprese che votano Lega, se Salvini continua ancora in una politica avventurosa e reazionaria che ha già comportato un serio ridimensionamento stando ai sondaggi del consenso.

La Lega adesso scopre che un governo Draghi, a differenza di quanto fatto dal governo giallorosso, opererebbe a favore della crescita, non distribuendo mance a destra e a manca, e rivoluzionerebbe il piano messo a punto da Conte.
Si tratterebbe di un piano di investimenti per la crescita e lo sviluppo condiviso con il paese che permette di superare le politiche di austerità europee che tanti danni hanno provocato.

E’ chiaro che Salvini adesso debba trovare una giustificazione seria per rendere credibile un cambiamento di campo così clamoroso alla sua gente di fronte a un governo Draghi. La gente sta con Draghi e non con Orban.

Ciò comporta che la Lega nell’Europarlamento potrebbe fare i primi passi per avvicinarsi al partito popolare europeo o al partito verde. È interessante ciò che è stato detto dal capogruppo della Lega a Strasburgo Marco Zanni che, polemizzando con il leader dell’ultra destra tedesca Jorg Meutthen, ha spiegato che Draghi sta facendo gli interessi dell’Italia e dell’Europa, e perciò va sostenuto.

Draghi -prima dipinto come il braccio armato dei banchieri- viene adesso riconosciuto come uomo della provvidenza, che sta difendendo l’economia italiana, la coesione sociale del nostro paese, che lavora per la pace sociale europea e quindi anche quella italiana.

Insomma, si tratta di una imprevedibile svolta europeista della Lega che ha dato un voto favorevole al regolamento del Recovery, perché era essenziale che lo si approvasse in fretta per potere avere assegnata la prima tranche del Recovery fund. E’ chiaro che una volta che la Lega ha votato il regolamento del Recovery nel Parlamento europeo dovrà approvare tutta una serie di provvedimenti che sono in linea con la filosofia del Recovery.

Ci troviamo per merito di Draghi di fronte alla svolta del maggiore partito italiano, stando ai sondaggi, quello leghista, che abbandona la bandiera dell’euroscetticismo per assumere un atteggiamento di responsabilità in Europa difendendo l’economia italiana. Tutto ciò potrebbe anche cambiare la geografia del centro destra italiano, perché si tratta di un processo che si è avviato, ma non si sa bene dove potrebbe portare.

Sono stati anni di grave instabilità e precarietà di questa crisi della democrazia in cui la vicenda italiana si è ulteriormente aggravata per effetto della pandemia. Si apre giustamente come hai osservato una nuova fase politica.

In questi anni il paese si è molto impoverito sul piano economico e sul piano culturale, sono cresciute le diseguaglianze, si è sempre di più abbassata la qualità delle classi dirigenti, e tutto ciò ha indotto la comunità internazionale a parlare di un caso italiano, di un paese che non cresce a causa anche della scarsa qualità della sua classe politica che lo rende inaffidabile, e quindi irrilevante nello scenario internazionale.

In questi anni, si è registrato nel mondo politico uno scontro di tutti contro tutti che ha creato profonde fratture nel paese, che ha aggravato le diseguaglianze spesso concepite come il prezzo inevitabile da pagare alla crescita, che ha sdoganato culture antidemocratiche e antiparlamentari.

Il governo dei migliori, di cui si parla in questi giorni, può favorire una tregua politica che consenta di affrontare questioni che sono risultate profondamente divisive. Non si tratta di spoliticizzare il paese, ma, al contrario, di consentire ad esso di capire fino in fondo l’importanza delle questioni che la politica affronta, evitando che la propaganda assordante prevalga sulla ragionevolezza degli argomenti utilizzati.

E’ questo il paese che oggi Mattarella affida a Draghi impegnandolo a mobilitare tutte le risorse che possano contribuire a realizzare la rinascita italiana, sempre che tutti i partiti, soprattutto quelli che hanno beneficiato del clima di confusione e delle lacerazioni sociali che si sono prodotte nel corpo del paese, gli consentano di poterlo governare, anche, grazie al ridimensionamento del loro ruolo.

Sono emersi in questi anni improvvisamente nuovi partiti che non davano rappresentanza a vere comunità politiche. Partiti senza identità, che hanno aggravato la questione morale non essendo in grado di fronteggiare forme di corruzione ormai sistemica. Si è trattato di movimenti posseduti da “imprenditori della politica” che li governano come se si trattasse di un bene privato.

Che tipo di relazione instaurerà Draghi con i partiti in questo governo di tutti?

Del sostegno di questi partiti, Draghi, ha bisogno in Parlamento per potere disporre di una maggioranza attraverso la quale legiferare. E’ auspicabile che coinvolgendo personalità competenti e in grado di vivere la politica come servizio – e non come fonte di opportunità per sbarcare il lunario – si possa gradualmente pervenire ad una rifondazione del sistema politico o, comunque, possa estinguersi il fenomeno di un populismo di governo.

E’ infatti davvero curioso che nel mondo della competizione, in cui si dovrebbero affermare le eccellenze solo in politica, valgano le ferree leggi della demeritocrazia. E’ sperabile che si possano rifondare le comunità politiche dal basso attingendo alle risorse che nel paese ci sono e che spesso si sono espresse in modo convincente del governo degli enti locali. Vi sono interessanti esperienze di civismo politico che bisogna valorizzare.

Del sostegno dei partiti Draghi ha bisogno in Parlamento per potere disporre di una maggioranza attraverso la quale legiferare. E’ auspicabile che coinvolgendo personalità competenti e in grado di vivere la politica come servizio possa estinguersi il fenomeno del populismo e del sovranismo.

Draghi sicuramente non farà l’errore di costruirsi un suo giro politico, un partito personale. Ha gestito molto potere in Italia e all’estero, circondandosi di collaboratori da tutti ritenuti capaci e meritevoli. Questo metodo sarà sicuramente replicato negli assetti di governo e non sarà facile imporre ciò a tutti, perché anche coloro che oggi gli tributano grandi riconoscimenti, domani, se dovesse nascere un governo Draghi, lo strattonerebbero sollecitando concreti atti di solidarietà politica.

Ma, da questo punto di vista, l’uomo conosce bene i meccanismi del potere, non è un tecnocrate che ritiene di dover ammansire la politica in modo autoritario. Cercherà di conciliare soluzioni tecniche e convenienze politiche sapendo benissimo che questa è la strada per guadagnare un necessario e convinto consenso.

Non ha bisogno di un partito personale per realizzare il suo disegno. Anzi, cercherà di mediare tra gli attuali partiti mitigandone gli istinti ferini in materia di lottizzazioni. Sono nati in questi anni nuovi partiti personali all’ombra di un presidente del consiglio o di un ministro. Partiti spesso destinati a durare soltanto per il tempo in cui il leader che le promuoveva ha esercitato il potere.

Si tratta in questo senso di non ripetere gli errori del passato che hanno prodotto seri guasti nel sistema istituzionale e degrado nel costume politico facendo si che l’esercizio delle attività di governo inevitabilmente si traducesse in un azione di reclutamento di nuove clientele per organizzare piccoli partiti personali. 

Draghi a tuo avviso riuscirà a fare uscire il Paese dalla litigiosità che conduce alla paralisi e all’immobilismo?

Anche sul piano dell’organizzazione delle comunità politiche sarebbe bene che emergesse una virtuosa competizione nella selezione dei gruppi dirigenti, tale da dare più prestigio alla vita politica e di impedire che possa arrivare al vertice delle istituzioni chi non ha meriti particolari, comprovate competenze da far valere, e viene scelto a casaccio per circostanze assolutamente imprevedibili.

Cercherà di conciliare soluzioni tecniche e convenienze politiche sapendo benissimo che questa è la strada per guadagnare il necessario consenso soprattutto nelle istituzioni politiche cambiando le cose senza intraprendere derive avventurose, o procedere a tagli delle teste.

Draghi, fine uomo di cultura, ma, esperto nella raccolta e gestione del consenso, sa come può fare prevalere il suo punto di vista conciliando dottrina e politica. 

Magari con prudenza stimolerà una competizione tra essi per ottenere candidature di prestigio in un governo fatto da politici e tecnici. Non ha bisogno di un partito personale, ma di un rassemblement ”draghiano” che può rompere gli attuali partiti populisti. 

I partiti sembrano ormai decisi ad assecondarlo, anche quelli che erano divisi al loro interno e spiegavano che per pronunciarsi aspettavano di sapere ciò che Draghi avrebbe detto loro. Ma in questi mesi, Draghi, ha già spiegato qual è la sua idea sul futuro possibile del paese.

Ha spiegato ciò che bisogna fare per risollevare il paese. La cose che ha detto nelle conferenze tenute negli ultimi mesi saranno i punti fermi del suo programma. Ha spiegato che per risollevare l’economia occorrono scelte coraggiose ,sacrifici e soprattutto occorre non dire si a tutti. È stato anche critico nei suoi interventi con riferimento ad alcune misure che sono state adottate per fronteggiare l’emergenza.

Ritiene che chi è in stato di grave disagio vada aiutato, ma che il rilancio del paese non può avvenire soltanto con gli aiuti a pioggia. Ha spiegato che le imprese vanno aiutate, ma che molte di esse non si risolleveranno perché erano già fuori mercato prima della pandemia e cercare di farle sopravvivere così come sono adesso è uno spreco.

Si tratta di capire fino a che punto i partiti, che sono aperti alla collaborazione con il premier incaricato, proseguiranno su questa strada della condivisione, del senso di responsabilità, senza essere prigionieri di calcoli elettorali. L’Italia con Draghi può rientrare nell’Europa che conta.

Sta adesso ai partiti, che sono più o meno tutti malmessi, abbastanza screditati, assecondarne l’azione per potere essi stessi cambiare immagine e riconciliarsi con il paese. Draghi, non cercherà di rappresentarli come il male assoluto, ma come alleati potenziali, tutti, da tenere in conto. In questo senso non farà l’errore di Monti che guardava ai partiti dall’alto in basso, considerandoli un male necessario .




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