Il 6 gennaio 1980 mi trovavo a Palermo per un congresso della Federazione giovanile socialista. Quel giorno venne ucciso Piersanti Mattarella, appena tornato da una funzione religiosa. Ricordo bene quando giunse alla riunione la raggelante notizia della barbara esecuzione avvenuta davanti alla sua abitazione. Andammo io e un compagno nel pomeriggio a casa del presidente, dove ci trattenemmo pochi minuti. Vivemmo così quel sentimento di cupa angoscia e di forte sgomento che si respirava per questo terribile omicidio, immediatamente era riconducibile alla criminalità mafiosa.
Ma quello era anche il clima che viveva la Sicilia intera, soggiogata e controllata dalla mafia. Certamente se fosse vissuto Mattarella sarebbe stato destinato a ricoprire un ruolo di primo piano a livello nazionale nella Democrazia cristiana. E probabilmente sarebbe stato l’erede di Aldo Moro.
Piersanti Mattarella era senza alcun dubbio un politico brillante, preparato e carismatico. Aveva iniziato l’impegno nella Dc in punta di piedi, favorito in questa ascesa prodigiosa cominciata a metà degli anni Sessanta grazie anche al ruolo svolto nel dopoguerra dal padre Bernardo, esponente di primo piano prima e di governo poi della stessa Dc.
Piersanti appena eletto presidente della Regione Siciliana perseguì con determinazione e convinzione la formula del compromesso storico voluta da Moro, che era quella di un progressivo coinvolgimento del Pci nell’ aria di governo. Questo delitto ancora oggi non è stato chiarito e paradossalmente abbiamo una sentenza di condanna dei mandanti individuati nei componenti della commissione di cosa nostra mentre non si conoscono i nomi degli esecutori materiali.
Anche Giovanni Falcone ebbe modo di occuparsi della vicenda ma nonostante ciò non si conosce tutta la verità. Oggi si accredita nuovamente l’ipotesi che siano stati i killer dei Nuclei armati rivoluzionari a eseguire l’assassinio ma a suo tempo comunque vennero assolti e quindi non possono essere nuovamente processati.
Qui si entra comunque nel lungo e torbido intreccio di connessioni tra fascisti, mafiosi, golpisti e pezzi deviati dello Stato per destabilizzare la democrazia in Italia. Al di là dell’amarezza per tante verità negate non solo su questo ma su numerosi delitti eccellenti di politici, giudici, poliziotti, carabinieri e giornalisti emerge il forte rimpianto per la perdita di un uomo di valore che sicuramente avrebbe lavorato per affrancare la Sicilia dalla piovra mafiosa e per costruire un modello di Regione fondato sul rispetto della legalità e sulla programmazione di uno sviluppo proteso a superare le antiche piaghe siciliane.
Mattarella è stato in quei pochi anni di presidenza una figura che tentò di invertire la rotta innovando e modernizzando la vita di una Regione che non riusciva ad utilizzare a pieno la spinta dello Statuto autonomistico per fare decollare la Sicilia. Il sogno di un uomo nobile e onesto che credeva nella libertà e nella democrazia come metodi principali per combattere la mafia che aveva realizzato lo sconcertante sacco edilizio di Palermo dominando il territorio con il controllo di tutti i traffici illeciti.
Mattarella, come già era avvenuto per Moro, rimase pressoché isolato. E si oppose al potere mafioso che godeva di immense coperture in ogni ambito e illudendosi che solo con il corretto esercizio delle funzioni istituzionali si potesse porre fine e sconfiggere le infiltrazioni mafiose al Comune di Palermo e alla Regione Siciliana.
Un’amara e drammatica esperienza la quale ci ha insegnato che occorre una vasta solidarietà civile e politica per opporsi al malaffare e alla violenza mafiosa. E oggi resta vivo il ricordo di chi, come Piersanti Mattarella, ha combattuto con determinazione e senza cedimenti la criminalità organizzata.
Saro Sorace