Home In evidenza L’Italia ha licenziato di più rispetto ai partner europei durante la crisi del COVID

L’Italia ha licenziato di più rispetto ai partner europei durante la crisi del COVID

by Nik Cooper

Mentre la stampa nazionale è impegnata a esaltare la crescita occupazionale italiana il mercato del lavoro del nostro Stato è stato il più colpito rispetto alla maggior parte dei suoi omologhi dell’Unione europea durante la crisi del COVID-19 del 2020 e del 2021, ampliando il divario occupazionale rispetto alla media dell’UE, secondo l’Istat.

Nel 2020, anno in cui è scoppiata la pandemia, l’Italia ha perso circa 724.000 posti di lavoro, la stragrande maggioranza tra i lavoratori precari e gli autonomi, di cui appena 90.000 tra le persone con contratto a tempo indeterminato, afferma l’Istat nel suo rapporto annuale.

Ciò ha segnato un calo dell’occupazione di circa il 3%, più o meno in linea con Spagna e Irlanda. Gli unici paesi dell’UE a registrare un calo maggiore sono stati la Grecia (-5,1%) e la Bulgaria (-3,6%).

Quando le economie dell’UE sono rimbalzate nel 2021, l’occupazione in Italia è cresciuta solo dello 0,6%, un terzo dell’aumento dell’UE nel suo insieme, secondo l’ufficio di statistiche.

Il tasso di occupazione in Italia a fine 2021 si attestava al 58,2%, 10,2 punti al di sotto della media UE, con il divario in aumento dai 9,1 punti del 2019.

A maggio il tasso era salito al 59,8% secondo l’Istat e il numero di persone occupate era quasi lo stesso di prima della pandemia.

Anche la lunga crisi demografica dell’Italia è peggiorata durante la pandemia di COVID e, a differenza di Francia e Germania, non mostra segni di miglioramento, ha affermato l’Istat.

I dati preliminari di marzo hanno mostrato un calo record delle nascite dell’11,9% rispetto allo stesso periodo del 2021, secondo il rapporto.

Il prodotto interno lordo italiano è tornato all’incirca al livello pre-pandemia alla fine del primo trimestre di quest’anno dopo un calo del 9,0% nel 2020 e un rimbalzo del 6,6% lo scorso anno.

Nonostante il rimbalzo dello scorso anno, il numero di persone che vivono in quella che l’Istat definisce “povertà assoluta”, nel senso che non possono permettersi beni e servizi essenziali, si è attestato a 5,5 milioni, ovvero il 9,4% della popolazione, un dato che è triplicato rispetto al 2005.

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