Finalmente abbiamo tristemente raggiunto gli obiettivi prefissati da quella falsa rivoluzione nata trent’anni fa, cui alcuni utili idioti avevano capeggiato, demolendo senza riformare il sistema politico, che aveva ricostruito l’Italia democratica.
Chiedervi oggi cosa sia la sinistra, la destra o se volete, il centro, a parte alcuni sguaiati e pericolosissimi estremismi, è affare da antichi e minuziosi orologiai.
Per cui dire che, queste elezioni amministrative sono state vinte dagli schieramenti di centrosinistra, piuttosto che da quelli del centrodestra, è utile per un sistema mediatico, che ha improntato la propria analisi politica, non quella di inchiesta, sulla falsa riga del sistema statunitense o britannico.
Perché nei fatti è veramente difficile trionfare, quando il 40/50 % degli aventi diritto, non partecipa alla scelta dei propri rappresentanti, oltretutto a loro più prossimi, visto che si tratta di elezioni amministrative.
Per trent’anni, ovvero per più generazioni, in questo Paese si è radicato il malaffare nella politica e nelle istituzioni, soprattutto smantellando o cercando di smantellare, la buona pratica e soprattutto un’etica che è stata sostituita da improvvidi e ciechi moralismi, i quali il più delle volte vanno e sono andati a braccetto con il malaffare.
E’ vero che i “nani” politici, mi si perdoni il termine, trovandosi improvvisamente in prima fila dopo l’immobilizzazione dei giganti della politica, sono divenuti i naturali referenti, ma da qui a ergersi sui piedistalli, per mimare una grande politica con piglio da saccenti, ve ne passa.
Altresì, consapevolmente, dobbiamo ammettere che ciò è avvenuto anche grazie alla nostra responsabilità, inesistente.
In trent’anni abbiamo assistito a una politica teorizzata da alcuni professori universitari di scienze politiche, verso cui molti loro allievi esprimevano ed esprimono dubbi, ma che son tornati utili di fronte al tabula rasa del pensiero politico dei “club”, alias partiti politici.
Certo, non tutto lo scenario nazionale ha presentato questa condizione deficitaria, sul piano delle idee e delle azioni.
Isolate porzioni della politica, appunto perché fattiva e potenzialmente “pericolosa”, sono state marginalizzate dai loro stessi partiti, allo scopo di far emergere uomini di carta o a “la carte”, se più vi aggrada.
In un Paese ove la soluzione dei problemi sociali è data dalla promulgazione di una legge, quasi sempre priva di effetti, per assenza di organicità e finanziamenti delle strutture in grado di renderla operante, la politica si conclude sui media, che la enfatizzano amplificando nel bene e nel male, il suo valore o disvalore, in astratto.
Quando si parla di “crisi della democrazia rappresentativa”, dovrebbe correrci un brivido sulla schiena, perché questa sottile e pericolosa affermazione costituisce il preludio alla dittatura, quale che essa sia sul piano politico, o se figliata da corporazioni di soggetti ritenuti “eccellenti”, oltreché potenti.
La nostra paura non deve essere quella di confrontarci con le politiche estremiste, o con quelle poco inclini alla via democratica, alle quali nonostante tutto è consentito il loro esistere grazie alla esistente Costituzione democratica.
La paura e l’allerta di un popolo deve nascere quando prende piede l’indifferenza, causata dall’inazione politica, o dalla sua incapacità nel saper dare un indirizzo politico autonomo dai famelici gruppi di pressione e dalle forze illiberali, che in misura silente e oscura, sono capaci di piegare e corrompere l’azione politica, fino a renderla superflua e di contorno.
Una percezione di inutilità della politica, che i cittadini hanno colto e verso cui oggi, erroneamente, hanno preso le distanze astenendosi dal voto.