Di Nico Dente Gattola
Dopo settimane di discussione, finalmente il Mes è stato definito. All’apparenza è stato redatto senza clausole capestro per i paesi che ne richiederanno l’attivazione, mettendo a disposizione una cifra che si avvicina ai 37 miliardi di euro (per l’Italia) che serviranno per intraprendere le spese sanitarie dirette ed indirette.
Inutile nasconderlo, anche questa volta, i 27 che compongono il club europeo, hanno messo in scena il solito rituale fatto di rinvii, portando ad una decisione, arrivata all’ultimo momento, frutto di un compromesso al ribasso che viene presentato come un passo avanti ma in realtà è tutt’altro che avanti.
Per l’ennesima volta gli interessi nazionali hanno prevalso su quelli della causa comune, alcuni paesi del Nord Europa, Germania in testa, hanno dato il via libera solo perché i loro interessi non vengono intaccati da un Mes così congegnato.
E’ vero che è previsto, per i paesi che si troveranno in difficoltà, restituire i prestiti senza alcun commissariamento, ma è altrettanto vero che è di fatto limitato al solo ambito sanitario e quindi non avrà la valenza che si auspicava, ovvero di poter aiutare a far ripartire le singole economie.
Allo stato delle cose, l’esito della trattativa appare, quindi, come una sorta di concessione fatta solo perché davanti alle spese in materia di salute, nessuno ha avuto il coraggio di opporsi.
Ma questa purtroppo è una pessima notizia per il futuro dell’Europa. La sensazione è che si sia persa un’occasione, per imprimere una svolta all’unione europea, ormai stagnante da troppo tempo. Mancano passi verso la costruzione di una vera nazione ma, con i nazionalismi che prendono sempre più piede, giocoforza ci si deve accontentare di piccoli passi.
Si può quindi essere contenti del piccolo risultato raggiunto?
Assolutamente no: infatti il quadro che emerge dopo settimane di trattative è di un’Europa divisa, sono ancora le singole identità nazionali a dettare legge. E’ questo il vero limite dell’Unione attuale, ovvero quello di concentrarsi eccessivamente sulle questioni economiche e di non attuare delle politiche realmente solidaristiche, in grado di eliminare le disuguaglianze: tutto è vissuto in termini bancari.
Ormai l’aspetto economico ha sopravanzato ogni altro principio, basti pensare che non si è levata da Bruxelles una sola voce di condanna all’operato liberticida di Vicitor Orban, laddove sarebbe stato il caso di avviare una rigorosa istruttoria su quanto sta accadendo dalle parti di Budapest.
Questo perché in Ungheria l’economia, come in altri paesi, va bene, eppure non si capisce che così non si crea la grande casa europea, ma semplicemente una zona economica in cui l’unico imperativo è il profitto delle singole economie nazionali e quindi facilmente destinata a crollare alle prime difficoltà.
Molto meglio sarebbe, per dare un futuro all’unione, puntare ad un’integrazione completa in settori strategici, come la difesa, diritti paritari per ogni cittadino europeo, la protezione civile (ce ne sarebbe un gran bisogno) o anche la politica estera (non si capisce ancora oggi, in concreto, la funzione di avere un alto rappresentante per gli affari esteri privo di poteri).
Tutti settori, in grado di far percepire ai cittadini europei, l’idea di far parte di un unico paese e non di essere solo parte di un alleanza economica. Insomma fatta L’Europa bisognerebbe fare gli europei, siamo ancora in tempo anche se i populisti bussano sempre più forte alle porte di Bruxelles.
Senza un rilancio del progetto, che deve necessariamente passare come accennato per una maggiore integrazione, anche paesi come la Germania sono destinati a perdere peso politico nel mondo. Nazioni come l’Austria o l’Olanda sono destinate all’anonimato più totale ad ogni livello; destino che accomuna tutti gli Stati membri, che in un futuro non lontano verranno sempre più inglobate dall’imponente pressione delle super potenze mondiali, c’è a chi piace e a chi dispiace ma questa purtroppo è l’amara verità.