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Intelligenza artificiale: imparare ad imparare

by Redazione

Di Pietro Carlomagno

L’introduzione della macchina nella prima rivoluzione industriale ha determinato la meccanizzazione di un processo manuale, con il quale è esplosa la produzione di maggiori prodotti, quindi espansione dei mercati e della commercializzazione.

Da quel momento è innegabile lo sviluppo avuto nelle scienze, nella medicina e nel generale miglioramento della qualità della vita dell’uomo, anche se, nelle complesse analisi antropologiche, non sempre le conclusioni ed i giudizi possono essere semplificati in un’unica e categorica posizione.

Eppure, come ad ogni universale sconvolgimento, l’introduzione della macchina causò legittimi timori per la scomparsa di antichi mestieri e maestranze che fino ad allora costituivano la spina dorsale dell’unica società conosciuta ed immaginabile e, per scongiurare l’inquietante ed inesplorato futuro dominato dalla macchina, si consumarono anche improbe sfide tra la forza delle braccia umane e potenza meccanica, nel tentativo di trovar rifugio nel rassicurante gesto umano, simbolo della supremazia dell’uomo sul suo stesso genio e a difesa della sua stessa sopravvivenza.

Oggi, invece, con l’introduzione dell’intelligenza artificiale si determina la meccanizzazione del processo cognitivo, la delega al ragionamento, al processo logico che scopra la risoluzione dei problemi e che forgia le culture umane.

Un’innovazione che non stravolgerà solo la produzione di beni o le dimensione dei mercati, ma da istruttori di cervelli informatici saremo destinati ad essere istruiti da chi ne saprà certamente di più, dove probabilmente degli antichi mestieri e maestranze la cui professionalità nasceva dall’imparare l’arte, da domani la professionalità nascerà dall’imparare ad imparare i veloci mutamenti dettati da logaritmi che segneranno il passo di un nuovo illuminismo digitale, verso il quale anche il periodo del più alto Rinascimento umano non potrà avere alcuna possibilità di confronto… forse.

Come sempre, quindi, la storia ci ripropone lo stesso ciclo storico ripresentandoci le stesse legittime paure, per superare le quali però dovremmo aver imparato che le improbe ed inutili sfide che i nostri antenati tentarono di fare con le macchine nei campi, almeno quello, possiamo evitarlo e, senza perdere l’entusiasmo che è alla base di tutti i progressi, prendere ben coscienza però che se la meccanizzazione di un bullone da avvitare ha sconvolto la storia dell’uomo, chissà cosa può accadere con la meccanizzazione della ragione.

Ben vengano, quindi, i dubbi che oggi stanno fasciando la testa di tutte le comunità scientifiche, dal mondo della tecnologia informatica alla dottrina giuridica, sugli enormi e complessi rischi ai quali si va incontro, dalle questioni etiche a quelle più banalmente operative, sperando che, al di là dei complessi tecnicismi, le riflessioni di oggi che condizioneranno il futuro dell’umanità, considerino come comun denominatore gli insegnamenti della storia e degli uomini che ne hanno segnato il progresso, ricordando qui le parole di Albert Einstein: “Tutto ciò che ha valore nella società umana dipende dalle opportunità di progredire che vengono accordate ad ogni individuo”.

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