In data 5 gennaio 2021 sulle colonne del nostro giornale, nell’articolo intitolato “Estinzione anticipata dei finanziamenti e la sentenza Lexitor – Avanti live”, abbiamo trattato la svolta, favorevole per il consumatore, segnata dalla sentenza c.d. Lexitor emanata dalla Corte di Giustizia Europea.
Con essa, infatti, è stato sancito il diritto del contraente debole di ottenere, in caso di estinzione anticipata di finanziamenti, la restituzione delle somme corrisposte e non godute.
In particolare, in virtù della sentenza in esame, il consumatore può chiedere alla Banca o alla Finanziaria il rimborso della quota, proporzionale al periodo di estinzione anticipata, delle spese che dipendono dalla durata del finanziamento (c.d. spese recurring) e delle prestazioni eseguite contestualmente o preliminarmente alla stipula del contratto (c.d. oneri up front), quali, ad esempio, le spese di istruttoria, di polizza, di intermediazione e di altre voci accessorie.
A distanza, di pochi mesi dal nostro articolo, è opportuno tornare sulla problematica in esame.
I riflettori sia della giurisprudenza sia della politica sono puntati sull’applicabilità, nel nostro ordinamento, della sentenza Lexitor. Ciò a dimostrazione di quanto sia alta la posta in palio.
Ma procediamo con ordine.
Oltre ai provvedimenti emessi dai Tribunali e dall’Arbitro Bancario Finanziario (nel prosieguo ABF), esaminati nel detto articolo del 5 gennaio 2021, al quale si rinvia per una disamina degli stessi, segnaliamo in questa sede una recente sentenza del Tribunale di Milano del 9 aprile 2021 e, soprattutto, una decisione fondamentale dell’ABF.
La sentenza dello scorso 9 aprile ha consolidato l’orientamento del Tribunale del capoluogo lombardo e, in generale, l’orientamento della giurisprudenza, ribadendo il diritto del consumatore al rimborso delle quote delle “commissioni accessorie” non godute in caso di estinzione anticipata di un finanziamento.
L’ABF, dal canto proprio, ha sancito l’applicabilità dei principi contenuti nella sentenza Lexitor non soltanto ai contratti di finanziamento, prestiti, con cessione del quinto e credito al consumo ma anche ai mutui immobiliari.
Secondo l’ABF, quindi, il consumatore che abbia estinto anticipatamente il contratto di mutuo, anche qualora lo stesso sia stato oggetto di surroga, potrà richiedere la restituzione delle spese recurring e degli oneri up front.
È facile immaginare le conseguenze dell’ampliamento del perimetro dei contratti per i quali, nell’ipotesi di estinzione anticipata, può essere richiesto il rimborso alla Banca o alla Finanziaria di somme corrisposte e non godute.
Siamo di fronte, infatti, ad una breccia che apre la strada – ove ne ricorrano, nei singoli casi di specie, i presupposti per la restituzione delle somme in favore del consumatore – ad un contenzioso di ampie dimensioni.
La portata economica della questione è stata “notata” dal mondo “politico”.
Da quanto si apprende, infatti, dall’autorevole quotidiano “Il Sole 24 Ore” (Caso Lexitor. Anche la politica prova a scendere in campo, “Il Sole 24 Ore” 24 aprile 2021 pag. 8) sembrerebbe che, tra gli oltre tremila emendamenti presentati in sede di conversione del “decreto sostegni”, almeno quattro di essi riguardavano il caso Lexitor.
Più in particolare, sempre da quanto emerge dall’approfondimento del “Il Sole 24 Ore”, detti emendamenti – fortunatamente non ammessi, per materia non attinente al decreto sostegno, e, come tali, esclusi – avevano quale obiettivo quello di depotenziare la portata degli effetti della sentenza della Corte di Giustizia Europea.
Secondo dette proposte si sarebbe dovuto limitare il diritto dei consumatori al rimborso alle sole somme, sempre in via proporzionale, corrispondenti ad un guadagno della banca o della finanziaria.
In tal modo sarebbero state escluse dal diritto al rimborso, ad esempio, le somme versate a titolo di imposte o di costi della rete distributiva.
Fortunatamente, come si è detto, tali emendamenti non sono stati ammessi, così come, gli emendamenti di pari tenore proposti e non ammessi, in precedenza, in sede di conversione del “decreto ristori”.
Questi tentativi di intervento politico pro banca/finanziaria sono sintomatici degli interessi in gioco.
Al riguardo, però, è necessario fare una riflessione sulla necessità di un cambio di rotta radicale del movimento per i diritti dei consumatori in Italia.
Ancora, infatti, nonostante la presenza, ormai da decenni, di numerose Associazioni, i consumatori non riescono ad essere massa critica, contrapponendo, così, la voce del cittadino a quella dei poteri forti.
Il consumatore, infatti, negli ultimi anni, salvo che nei periodi di campagna elettorale, sembra essere scomparso dall’agenda politica.
Dopo la “primavera del consumatore” vissuta con il c.d. decreto Bersani, contenente le famose “lenzuolate”, (decreto legge 4 luglio 2006 n. 223), infatti, gli interventi a tutela del contraente debole hanno subito – salvo qualche sporadico intervento, frutto prevalentemente del recepimento in Italia del diritto comunitario – una brusca battuta di arresto.
Occorre, quindi, dare nuova linfa al movimento, anche prendendo ad esempio i modelli vincenti adottati da Associazioni di altri Stati.
Si pensi, ad esempio, all’associazionismo americano dove l’attivismo per i diritti dei consumatori fa sentire la propria voce in tutte le sedi, dalle piazze ai Tribunali, dalle strade e dai mercati di quartiere alle Istituzioni.
In tal modo, le Associazioni dei consumatori negli Stati Uniti d’America sono riuscite a coagulare attorno al proprio operato i cittadini, divenendo, così, un interlocutore imprescindibile anche del mondo politico ed istituzionale.
In Italia, purtroppo, per raggiungere una tale autorevolezza del mondo consumerista c’è ancora tanta strada da fare ma è una sfida affascinante che non possiamo non cogliere.