È sempre la stessa storia, i fallimenti bancari all’italiana, costati allo Stato oltre 13 miliardi di euro e circa il doppio a 380mila risparmiatori che avevano investito negli istituti collassati dal 2015 ad oggi.
Le prescrizioni, gli annullamenti, i rinvii e le udienze che arrivano ad anni dalla chiusura delle indagini e i dirigenti che se ne fregano delle conseguenze, loro che hanno condotto le banche verso Waterloo. Le inchieste abbondano di reati, dal falso in prospetto alle false comunicazioni sociali, dalle truffe all’aggiotaggio ma L e pene sono piuttosto basse e i termini di prescrizione sono di sei anni. L’eccezione è il reato di bancarotta fraudolenta, per cui sono necessari 10 anni perché si prescriva. Eppure in uno dei casi che leggerete il rischio c’è.
Tra i casi più recenti quello della banca genovese Carige che, dopo essere stata salvata dagli altri istituti di credito italiani (giustificando così i rincari che stanno subendo i conti correnti negli ultimi mesi), alla fine a essere massacrati sono stati anche i piccoli azionisti. L’ex presidente Giovanni Berneschi aveva amministrato per un quarto di secolo. Berneschi, condannato a otto anni e due mesi nel processo per la truffa alla compagnia assicurativa del gruppo “Carige Vita Nuova”, sta subendo anche il sequestro di 22 milioni di euro. Lo scorso ottobre però la Cassazione ha annullato tutto poiché il processo avrebbe dovuto essere celebrato a Milano e non a Genova. Si torna quindi alla casella di partenza, con l’altissimo rischio che tutto finisca nel nulla, causa prescrizione. Nel frattempo Berneschi ha addirittura annunciato: “Chiederò milioni di risarcimento per quello che ho passato con la mia famiglia”.
La vicenda della Banca Popolare di Vicenza rischia di finire in prescrizione, dopo essere stata guidata da Gianni Zonin che ne è stato al timone per un ventennio è ha affrontato il processo iniziato il primo dicembre del 2018 e dopo 10 mesi di udienza preliminare è ancora in corso. Ma come in tutti i grandi processi con molte parti civili, la scure della prescrizione è sempre in agguato. Nel frattempo Zonin – che si è sempre dichiarato estraneo a ogni addebito – ha subito un sequestro di beni per 106 milioni di euro e poi un secondo intervento da 19 milioni riguardanti una villa, quadri e oggetti preziosi. Il banchiere potrebbe vedersi in futuro restituire tutto e non scontare neppure un giorno di pena. Così il crac della Vicenza rischia seriamente di rimanere senza colpevoli.
La Popolare di Vicenza, insieme alla Veneto banca guidata da Vincenzo Consoli, ha fatto uscire dalle casse pubbliche poco meno di 5 miliardi. E l’archiviazione è datata 11 novembre 2019, disposta dal giudice per le indagini preliminari per gli ex vertici. Dopo aver messo i conti apposto, le azioni sono state poi rivendute a Banca Intesa Sanpaolo al prezzo simbolico di 1 euro. Insieme al danno anche la beffa, infatti, lo Stato ha fornito garanzie fino a 12 miliardi per far fronte a eventuali e ulteriori perdite che dovessero emergere nei prossimi anni.
La vicenda Monte dei Paschi di Siena è finita invece con sole due condanne. Alla gogna in questo caso i banchieri Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, accusati di essere stati gli artefici della carissima acquisizione di Antonveneta, operazione che ha dato origine al crac di Monte dei Paschi di Siena. Mussari è stato condannato a 7 anni e 6 mesi, Vigni a 7 anni e 3 mesi con capi di imputazione che vanno dalle false comunicazioni sociali all’aggiotaggio. I due manager dovranno versare 50mila euro in una sola tranche a Banca d’Italia. I reati sono stati commessi tra il 2008 e il 2014. E per i due restano probabilmente ancora due giudizi da affrontare: appello ed eventualmente Cassazione. Intanto il tempo corre. Vigni e Mussari sono invece stati assolti in appello per un’altra operazione effettuata per finanziare l’acquisizione di Antonveneta, che è stata progettata sul derivato “Alexandria” e sottoscritta con Nomura. Nel 2017 lo Stato è diventato l’azionista di riferimento della banca toscana – investendo oltre 5 miliardi di euro – e tale resterà fino al 2021, quando per gli accordi con Bruxelles dovrà vendere la sua partecipazione. Da quando il ministero del Tesoro ha fatto il suo ingresso nel capitale, le azioni della banca sono precipitate. E se non dovessero esserci improbabili recuperi nei prossimi due anni, l’intervento costerà allo Stato qualche miliardo di euro.
Per Banca Marche, dove per decenni l’ex direttore generale Massimo Bianconi ha dominato incontrastato, è stata utilizzata la stessa procedura: prestiti erogati in base a criteri di amicizia e conoscenze non prendendo le dovute precauzioni. Uguale anche l’esito finale: bancarotta. Il crac della Marche provoca perdite per un miliardo di euro. Il vero scandalo è che il processo per il crac del 2015 si è aperto solo lo scorso maggio, è ancora in corso e nell’ultima udienza è stato sentito uno dei testi chiave dell’accusa. Bianconi ha subìto una condanna a 3 anni in appello per corruzione in relazione all’acquisto di un immobile, vicenda strettamente collegata al fallimento della banca. E Banca Marche (comprata poi da Ubi a 1 euro) non è la sola, visto che sono state salvate anche CariChieti, Banca Etruria e CariFerrara. In questo caso lo Stato ha speso relativamente poco. Il grosso del salvataggio è merito delle altre banche italiane oltre che di azionisti e obbligazionisti subordinati delle banche che hanno visto azzerato il valore dei loro titoli, salvo poi subire un parziale ristoro attraverso provvedimenti governativi ad hoc. Il crac di Etruria ha originato innumerevoli gratta capi per la magistratura. L’ex presidente Giuseppe Fornasari è stato condannato per bancarotta (5 anni). Condanne anche per il direttore generale Luca Bronchi (5 anni), l’ex vicepresidente Alfredo Berni (2 anni e 6 mesi) e l’ex consigliere Rossano Soldini (1 anno e 6 mesi).
Tra i banchieri che maggiormente hanno espiato le loro colpe c’è l’ex numero uno della Popolare di Lodi, Giampiero Fiorani, arrestato e poi condannato a 3 anni e sei mesi per la scalata condotta nel 2005 su Antonveneta. Fiorani, tornato recentemente sulla scena come consulente del finanziere e investitore Gabriele Volpi, secondo azionista di Carige, ha dovuto anche restituire 34 milioni di euro alla Popolare di Lodi, oggi parte del gruppo Banco BPM.
Ultimo ma non per importanza è il caso della BPM. Il suo ex presidente, Massimo Ponzellini, dopo essere stato condannato (2017) a un anno e sei mesi per corruzione privata, viene dichiarato estinto per “intervenuta prescrizione“. Per l’accusa Ponzellini sarebbe stato al vertice della “struttura parallela e deviata” creata all’interno dell’istituto di credito per soddisfare richieste di finanziamenti da ambienti politici e imprenditoriali.