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Costi energetici, guerre e modelli politico economico inadeguati

by Maurizio Ciotola

Dopo una crisi sanitaria, ancora in corso, che ha determinato alcune accelerazioni positive in un’ottica progressista e umanitaria, adesso ci troviamo in una vera e propria fase regressiva, causata da un paradigma politico economico in parte reazionario.

Se sul piano internazionale gli Stati Uniti stanno tentando di riprendere, a modo loro, l’egemonia politica globale, è evidente quanto la loro prassi interventista è sempre più orientata verso lo scontro, piuttosto che sul dialogo.

Come sappiamo un animale ferito e agonizzante è da temere, per le sue iniziative irrazionali e tendenzialmente suicide, seppur orientate all’omicidio dell’aggressore.

Questa è oggi la condizione politica internazionale in cui si trovano gli Stati Uniti, una politica incapace di adottare le vie del dialogo e del non interventismo armato.

Una politica accompagnata dalla riaffermazione economica di quel liberismo malato, con cui continua a rastrellare ingenti somme sui due versanti, quello del mercato, pianificato da regole ad hoc e su quello delle istituzioni, in perfetta antitesi all’idea stessa di mercato.

E’ la politica cui si sono adeguati alcuni Paesi dell’Unione europea, tra cui il nostro, attuando un ricatto politico verso la stessa UE, in un’evidente e supino allineamento verso la politica statunitense.

L’Italia e la Francia costituiscono i cunei attraverso cui scardinare e indebolire l’UE o meglio, imporre all’intera Ue, un allineamento acritico attenendosi ciecamente alla politica del blocco statunitense.

Se l’Italia ha da sempre costituito il cosiddetto “ventre molle” dell’Ue, per la dipendenza sancita dopo la seconda guerra mondiale verso gli USA, è pur vero che oggi l’adeguamento tecnico politico, cui la presidenza del Consiglio è espressione, risulta essere totale.

Da decenni l’Italia non ha una politica estera, come non ha una politica interna, evidentemente, non riuscendo a intessere relazioni ed equilibri, come è stato fatto in ambito mondiale nei primi cinquant’anni dal dopoguerra.

Il Paese è rivolto a un impoverimento continuo, cui la politica economica adottata dall’attuale governo è causa primaria.

L’inflazione crescente, più del resto dell’Europa, è avviata verso la strada dell’ingovernabilità, cui solo un tam tam mediatico/istituzionale cerca di dare rassicurazioni per una sua fine entro uno, massimo due anni.

La transizione energetica e il salto di paradigma cui noi non ci apprestiamo a compiere, costituiscono causa e occasione dei fenomeni economici da cui il Paese è schiacciato.

Non sappiamo compiere un adeguato salto industriale, economico e politico.

La non scelta con cui abbiamo richiamato alla Presidenza della Repubblica Sergio Mattarella, più che una evidente debolezza esprime una vera e propria incapacità politica verso una evoluzione sistemica, cui sarà comunque impossibile sottrarsi.

Un governo che adotta le stesse formule desuete, garantendo arricchimenti miliardari, senza orientare le industrie verso investimenti per il cambiamento, risulta essere palesemente incapace di garantire altresì, la tenuta politica e sociale del Paese.

La stessa strategia politico economica è di per sé inesistente, invisibile, inconsistente, giusto per mutare la formula delle tre “i” cara ai bocconiani.

Sappiamo che il mercato non può compiere in autonomia investimenti finalizzati a riformare il sistema energetico e produttivo del Paese.

L’attuale condizione in cui, in regime di mercato mai completamente liberalizzato, vi è una iniezione di liquidità attraverso incentivi verso gli stessi attori economici, genera ulteriore debito pubblico incapace di invertire il trend, che per contro amplifica.

Incentivi che non costituiscono una lineare garanzia, per il compimento radicale dei cambiamenti produttivi oggi richiesti.

Finanziamenti e interventi finalizzati a ridurre i costi, che gli operatori rastrellano e fagocitano sul mercato, senza alcuna ricaduta industriale, se non quella finanziaria e speculativa.

E’ l’esempio quotidiano di ciò che avviene sul mercato dell’energia elettrica, le cui carenti e poco lineari regole, impediscono qualsiasi contenimento dei prezzi.

Un mercato in cui l’abuso deriva dalla uniformità del parco di produzione elettrico a una fonte fossile, il gas naturale, pianificato in tal senso negli anni secondo le prerogative dell’Eni.

Il ministro della transizione energetica dovrebbe guidare il cambiamento, piuttosto che intentare una scelta politica economica volta a impedirlo.

Aprire alle comunità energetiche, contemplate dalle linee di indirizzo dell’Ue, piuttosto che incentrare sugli operatori esistenti la gestione della produzione elettrica.

Ha il dovere di spingere verso tale cambiamento, perché i maggiori oneri che la popolazione e la piccola e media industria stanno affrontando e continueranno per anni ad affrontare, risiede nei costi elettrici fluttuanti sul mercato medesimo, di cui è palese un cartello, se non un monopolio ‘ab origine’.

Da esso dipende il futuro industriale e economico del Paese, perché l’azzeramento del sistema produttivo, a causa dei crescenti oneri sempre più insostenibili, non è una questione puramente finanziaria, quanto sistemica, legata allo sviluppo adeguato di un diverso modello produttivo, di cui l’energia elettrica è la base e non solo da oggi.

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CITI FABIANO 14 Febbraio 2022 - 20:06

Alcuni dicono che la potenza ferita è corrotta è la Russia ma, questo non cambia una virgola sul giudizio negativo del nostro paese.
Il quadro fatto è corretto anche se, aggiungo con questa classe politica tutta, può solo che peggiorare. E la UE è pronta a intervenire in quella che io chiamo Grecia 2,sbaglio ma al ribasso.

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