Home Attualità Tre arresti per lo scandalo delle mascherine alla Regione Lazio

Tre arresti per lo scandalo delle mascherine alla Regione Lazio

by Rosario Sorace

Un altro scandalo di mascherine non certificate, alla Regione Lazio, è finito con tre arresti tra cui anche un imprenditore, Vittorio Farina. Sono stati posti ai domiciliari anche Andelko Aleksic e Domenico Romeo e sono stati sequestrati 22 milioni di euro.

Vittorio Farina, definito il ‘re’ degli stampatori era stato già arrestato nel 2017 per bancarotta fraudolenta. Tutti gli indagati sono accusati a vario titolo, per frode nelle pubbliche forniture, truffa aggravata e traffico di influenze illecite. Il gip del tribunale di Roma, Francesca Ciranna, ha emesso un provvedimento di sequestro preventivo di quasi 22 milioni di euro a carico dei tre e della società European Network Tlc, e per tale società è stata emessa la misura interdittiva del divieto di contrarre con la Pubblica amministrazione.

Farina è noto anche perché è stato socio dell’affarista Luigi Bisignani che a suo volta è tra i finanziatori della Fondazione Open di Matteo Renzi. L’inchiesta dei finanzieri del Gruppo Tutela Spesa Pubblica del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria è stata originata da una segnalazione dell’Agenzia Regionale della Protezione Civile del Lazio alla Procura di Roma ed è relativa alla fornitura di 5 milioni di mascherine FFP2 e 430.000 camici alla Regione Lazio da parte della European Network Tlc avvenuta nella prima fase dell’emergenza sanitaria, tra marzo e aprile 2020, per un prezzo complessivo di circa 22 milioni di euro.

Nei contratti sottoscritti si prevedeva la consegna di dispositivi di protezione individuale marcati e certificati CE, che erano rientranti nella categoria merceologica di prodotti ad uso medicale, mentre l’impresa milanese facente capo ad Aleksic, che fino al mese di marzo 2020 era attiva soltanto nel settore dell’editori, secondo gli inquirenti, “dapprima fornito documenti rilasciati da enti non rientranti tra gli organismi deputati per rilasciare la specifica attestazione” e, dopo, “per superare le criticità emerse durante le procedure di sdoganamento della merce proveniente dalla Cina, ha prodotto falsi certificati” di conformità forniti da Romeo “anche tramite una società inglese a lui riconducibile, ovvero non riferibili ai beni in realtà venduti”.


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