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Bobo Craxi: “La pandemia ha influenzato i partiti ma certi cambi di squadra sono comici”

by Redazione

Articolo redatto da https://www.cdt.ch

Bobo Craxi, ex deputato, dirigente del PSI e figlio di Bettino Craxi, parla dell’attuale momento politico ricordando la figura del padre, già premier e grande leader del Partito socialista italiano, scomparso il 19 gennaio 2000 a Hammamet in Tunisia, dove fu costretto a riparare travolto dallo scandalo di tangentopoli.

Diversi leader, anche della sinistra italiana, parlando della dirigenza del PD hanno riscontrato assenza di leadership e di progettualità. Paolo Mieli, dal canto suo, ha affermato che questa carenza sarebbe addirittura l’elemento di maggiore spicco nel Governo Draghi (già emersa negli Esecutivi Conte I e II). È d’accordo con questa critica?

«È una questione che ha due aspetti. Da un lato il problema della progettualità politica in una fase così drammatica ci fa capire che pensare di poter dare le stesse risposte che si sarebbero potute dare in condizioni normali è oggettivamente difficile. Pensare di avere una dottrina sulla pandemia da parte dei partiti è complicato. Tutti sono andati un po’ a tentoni. I populisti si sono trovati a difendere l’apertura totale, mentre la sinistra al Governo si è messa a fare l’autoritarismo sanitario. Che oggi manchino figure che rispondano all’idea che abbiamo di sinistra moderna e di socialdemocrazia è vero, ma è così da tempo».

La debolezza della leadership del Partito democratico a cosa è dovuta?

«Il PD non ha leadership perché è un partito costruito in laboratorio. Ed è un’esperienza unica nella democrazia europea: cioè la fusione di due correnti avverse nella prima Repubblica che si sono fuse in un partito in cui l’elemento democratico è il solo che indica un’identità».

Lei ha più volte detto che la seconda Repubblica ha fallito, ci spieghi meglio.

«Non ha risolto le questioni democratiche che si posero alla fine degli anni 70 e all’inizio degli anni 80 sulla necessità di riformare il sistema politico italiano in un senso che andasse incontro alle esigenze della modernizzazione della società. Stiamo assistendo a una crisi di sistema, non ad una banale crisi politica che si è risolta con un governo di unità nazionale».

Il Governo Draghi, fatto salvo il gruppo di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, in Parlamento non ha opposizione.

«Oggi in un governo di tregua che ha come fondamento l’unità nazionale l’assenza di opposizione può essere un fatto fisiologico. Non mi preoccupa: la formula di governo adottata varrà una stagione breve e non si prolungherà nel tempo».

Bettino Craxi, in un’intervista televisiva degli anni 90, mise in guardia l’Italia dal percorrere troppo entusiasticamente la via dell’UE. Invocando una riforma del trattato di Maastricht dichiarò che «L’Europa nella migliore delle ipotesi sarà un limbo e nella peggiore un inferno». Fu troppo pessimista o sono solo cambiati i tempi?

«Quell’opinione fu espressa nel 1996 nell’imminenza dell’entrata in vigore dell’euro. La scelta operata fu di premettere l’unità monetaria a quella politica, e fu un errore. Mio padre è stato un eurocritico ma un europeista convinto. Ritengo che quel vaticinio ha una sua attualità ma dev’essere circoscritto a quella congiuntura. Oggi si è dimostrato che nell’epoca della globalizzazione i vantaggi dell’Europa sono più grandi rispetto all’isolazionismo sovranista, ancora di più lo ha dimostrato la vicenda pandemica».

Negli anni seguiti a tangentopoli, Bettino Craxi ha avuto una lenta «riabilitazione politica». Cosa resta del suo messaggio?

«Mio padre non fu soltanto una personalità individualmente particolare nell’approccio politico. Ma era figlio di una delle grandi culture politiche europee, cioè della socialdemocrazia. In questo senso è difficile confinarlo in una dimensione episodica della vita politica e democratica del Continente. È stato un grande leader socialista e in Italia anche un grande leader politico che ha rispolverato i sentimenti e valori della patria. E ciò gli è riconosciuto da persone che provengono anche da campi diversi dal nostro».

Il ruolo del PSI nella politica italiana è storia, eppure i numeri vi hanno fatti sparire anche dopo i tentativi di ricomposizione anni dopo tangentopoli.

«I socialisti italiani hanno subito una sconfitta e sono rimasti vittime senza precedenti nella socialdemocrazia Occidentale. La ricostruzione è stata difficile e purtroppo dobbiamo prendere atto delle difficoltà che sono subentrate».

Sono in crisi anche i socialisti tedeschi della SPD. La perdita di fiducia pare più generalizzata.

«Le grandi conquiste del secolo che sta alle nostre spalle portano il segno della socialdemocrazia, oggi il nuovo secolo impone altre agende. Valuto però quello che sta avvenendo in Spagna o in Portogallo, dove ci sono leadership efficaci e partiti socialisti che rinnovandosi hanno saputo mantenere non soltanto il ruolo di leadership al Governo ma anche di convincere un ampio numero di elettori. Ciò significa che la socialdemocrazia intesa come crogiuolo di valori che sono legati alla libertà, alla solidarierà e alla giustizia sociale, rinnovandosi sono una base efficace per ricostruire la sinistra in Europa e anche in Italia».

Come giudica la conversione «europeista» di Salvini? È mero opportunismo politico o c’è dell’altro?

«Non c’è dubbio che siamo di fronte a una conversione dettata dalle esigenze tattiche che naturalmente, presto o tardi, finiranno per pagare. Passare di un colpo dal Milan all’Inter è però abbastanza comico».

Lei e sua sorella Stefania (senatrice di FI, ndr.)_non avete mai pensato di fare rientrare la salma di vostro padre in Italia da Hammamet?

«Noi non abbiamo fatto altro che eseguire le sue volontà. Quando mio padre disse: in Italia rientro solo da uomo libero, diversamente non rientrerò né vivo, né morto. Questo per me vale il rispetto delle sue volontà. Anche a noi piacerebbe celebrare il funerale che non siamo riusciti a fargli, ma non mi pare che oggi ve ne siano le condizioni politiche. Il mio atteggiamento al riguardo è di disincanto, nonostante stiamo comunque parlando di un primo ministro italiano, seppure di trent’anni fa».

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