Il presidente russo continua a vessare l’Ucraina con attacchi missilistici e, nella telefonata con Olaf Scholz, asserisce che sono “una risposta forzata e inevitabile agli attacchi provocatori di Kiev contro le infrastrutture civili russe, tra cui il ponte di Crimea e impianti energetici”.
Il cancelliere tedesco, in risposta, ha proposto scioccamente quello che aveva già detto il presidente degli Usa, con scarsissimi risultati, e cioè che non c’è pace senza il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina.
Come se Putin potesse ammettere la sua resa in Russia proprio mentre la popolazione ucraina sta affrontando il periodo peggiore da quando è iniziato il conflitto diretto.
Biden ha aperto alla possibilità di parlare con Putin, come condizione per la pace però ha ordinato che le truppe di Mosca lascino per sempre i territori ucraini, ma Putin ha categoricamente rifiutato l’invito del presidente statunitense ma ha ribadito che rimane aperto ai colloqui: questo è quanto è stato comunicato dal Cremlino.
Il portavoce Peskov, dopo la proposta infattibile degli Usa, ha risposto alzando il tiro e chiedendo che gli Stati Uniti riconoscano i territori occupati dai Russi. Cosa che neanche la Cina ha mai fatto.
Ieri tuttavia, dopo l’incontro alla Casa Bianca tra il presidente americano Biden e quello francese Macron è stato deciso che il 13 dicembre a Parigi si terrà una conferenza internazionale di pace sull’Ucraina, con lo scopo quindi di raccogliere aiuti per Kiev.
Il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha commentato dicendo che “è l’ora di una pace giusta per l’Ucraina, ma Mosca deve dare segnali concreti e non bombardare la popolazione”.
Il presidente ucraino Zelensky, nel frattempo, ha firmato un decreto discutibile contro le libertà di credo che pone restrizioni all’attività della Chiesa ortodossa del Paese poiché è legata al Patriarcato di Mosca. Una mossa che per molti è stata etichettata come intollerante alle religioni.