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Rischi e pericoli della popolocrazia

by Bobo Craxi

Marc Lazar l’ha definita “popolocrazia”, ovvero la preponderanza dell’avanzata del populismo di massa come forma di espressione più avanzata delle opinioni pubbliche che sovrastano e travolgono gli establishment.

Senza apparente mediazione degli apparati partiti, essa si manifesta in forme sempre più evidenti in società a ordinamento democratico ma anche in alcuni Stati-Nazione dove vige un ferreo controllo sui cittadini. E spesso si autogenera in forme ribellistiche ed è promossa dai ceti più giovani delle società.

Ma il vero corpo centrale di questa “ribellione delle masse” è in realtà un ceto medio impoverito o addirittura sottoproletarizzato pronto a tutto, persino allo scontro fisico, non avendo nulla da temere e soprattutto da perdere.

Infatti, un fil rouge sembra legare le piazze di questo autunno che si sono manifestate in cinque continenti, ciascuna con obiettivi e scopi diversi, anche se tutte invocano la difesa di un principio democratico e nonostante le stesse piazze dimostrino che il naturale sbocco democratico ed istituzionale viene per ciò stesso bypassato da una mobilitazione popolare permanente.

Si è ribellato il Cile contro la svolta autoritaria di Piñera così come la Bolivia per il colpo di Stato militare che ha estromesso Morales dal potere. Mentre in Iran il governo centrale ha ammesso di aver dovuto sedare i tumulti sparando sulla folla e in Iraq la lotta studentesca si è presto trasformata in un nuovo conflitto etnico e civile, lo stesso che vorrebbero evitare in Libano dove una grande folla omogenea e interconfessionale ha protestato settimane intere chiedendo la caduta del governo e la fine della politica separata per confessioni religiose foriera di conservazione e corruzione. Naturalmente il partito armato di Hezbollah non ha gradito e ha violentemente reagito attaccando i presidi nelle piazze di Beirut.

Nel frattempo, si è inquietata da tempo la piazza algerina, che era riuscita ad evitare il contagio delle rivoluzioni arabe, costringendo alle dimissioni il presidente Bouteflika ed è rimasta su un crinale assai delicato la crisi che oppone la provincia di Hong Kong (già protettorato britannico) con lo Stato centrale di Pechino. Così come la battaglia degli studenti sostenuta addirittura dagli Stati Uniti d’America è rimasta in un limbo sospeso e la Cina ha evitato una soluzione di forza militare ben comprendendo la reale propensione della provincia alla propria autonomia e non volendo tuttavia rinunciare al dominio su una piazza finanziaria e commerciale importante.

L’Europa comunque non è rimasta immune dalla spirale popolocratica di piazza; i Gilets gialli hanno fallito l’obiettivo di rovesciare Macron in Francia ma hanno mantenuto per mesi il monopolio della mobilitazione massiva, spesso nichilista e violenta, con l’aiuto delle destre e soprattutto con il concorso e il sostegno di ampi settori di classi medie della Francia interna esasperati per la crisi economica. La scintilla che ha fatto scattare la protesta è stato l’aumento delle accise sui carburanti che penalizzava fortemente il comparto degli agricoltori e mano a mano che si è estesa ha saldato le parti estreme di destra e di sinistra in una battaglia contro l’establishment genericamente concepito.

Ed è inquieta da anni la Catalogna nei confronti della Spagna centralista, per nulla incline alla sussidiarietà economica e istituzionale. Il movimento indipendentista è cresciuto negli anni, ora rappresenta la metà della regione ed è in grado di mobilitare piazze imponenti per imporre un referendum e chiedere la secessione da Madrid. Il Regno ha reagito usando la macchina giudiziaria, producendo un corto circuito politico che ha generato la paralisi. Risultato: la Spagna è tornata a votare due volte nello stesso anno, si è allargata la frattura politica e sociale con la Catalogna nello stesso territorio che vive una stagione assai simile all’Irlanda degli anni ’70 e alle province slave degli anni ‘90.

L’Italia ha mandato al governo i populisti ma contro di loro oggi si sta muovendo una piazza che ne denuncia i pericoli e si muove a sua volta nello stesso solco. Le sardine vengono vissute come una salutare risposta giovanile di massa dinanzi al rischio di una torsione autoritaria del paese ma hanno movenze proprie del processo populista e sono avanguardie che si muovono dal basso per sventare il pericolo di un autoritarismo elitario. Intendiamoci: affrontano un reale pericolo di svolta autoritaria della quale la destra di Salvini ha abbondantemente anticipato i principi-cardine nell’anno governativo e lo affrontano assumendo le stimmate dei “partigiani della democrazia” i quali in forme esclusive rappresentano la volontà popolare contro il mostro autocratico. Rinunciando quindi alla intermediazione tradizionale dei partiti democratici che naturalmente sono costretti a inseguire o a cavalcare l’onda popolocratica sperando di ricavarne linfa vitale.

Dalla visione di insieme se ne deduce che le crisi economiche producono delle lesioni ai sistemi democratici che a loro volta aprono la strada a soluzioni populistiche che determinano l’illusione che la popolocrazia possa venire a capo di ogni questione interpretando il sentimento democratico generale.

Al contrario, l’indebolimento dei corpi intermedi renderà la politica sempre meno in grado di padroneggiare la sfida contro lo strapotere finanziario e la globalizzazione senza regole.

La popolocrazia è una realtà, ma di per sé non rappresenta una soluzione.

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