Non è un mistero che Lina Wertmuller avesse simpatie socialiste, fece parte dell’Assemblea Nazionale del Psi prima ancora di diventare una fervente femminista che si è fatta sempre rispettare.
I suoi film ci hanno dilettato per l’ironia grottesca e per la divertente intelligenza in cui ha gettato una luce su un Italia classista, divisa, ineguale mostrando icasticamente il suo carattere di donna moderna anticonformista e anticonvenzionale.
“Non ho mai fatto distinzione tra maschi e femmine. L’importante per me è avere carattere. Noi donne abbiamo una grandissima forza, ma purtroppo ancora oggi tocca farci rispettare per valorizzare i nostri talenti”, ribadì in una sua ultima intervista dopo aver ricevuto l’Oscar alla carriera.
Era una donna assai spiritosa e diceva di sé che era pure femminista, tuttavia molto spesso prendeva le distanze dai movimenti femministi.
Lina Wertmüller non amava essere definita e neanche apprezzava le celebrazioni. Nei titoli dei suoi film così lunghi vi era anche una sorta di dissacrante consapevolezza della fatuità del cinema.
Eppure era un’artista a tutto tondo capace di farsi carico delle tensioni sociali e dei movimenti che si muovevano nel Paese, però leggendole con la lente d’ingrandimento e alla luce di una visione antropologica ispirata dalla sua creatività e fantasia a dir poco parossistica.
Lei era proprio una Giamburrasca ante litteram, ancora prima di dirigere “Il giornalino di Giamburrasca” che fu un grande successo della tv con l’interpretazione di Rita Pavone.
Infatti, venne cacciata da 11 scuole, arrivando a fare la pipì in classe quando la vigilatrice non le consentì di andare in bagno.
Era una donna imprevedibile e determinata con una carattere forte ai limiti dell’aggressività pur di farsi rispettare sul set.
Numerosi sono gli aneddoti che la vedono protagonista di scene surreali in cui lei non nascondeva la sua natura libera e travolgente.
“Non ho problemi a farmi rispettare. Sul set mi temono perché sono una che mena”, diceva spesso ricordando episodi burrascosi della sua lunga carriera.
Non le interessava fare un film per ottenere un premio oppure ad avere una buona critica, bensì per manifestare sempre la sua fama di donna dotata di forza creativa senza apparenze.
Riuscì con “Pasqualino Settebellezze” ad essere la prima donna a ottenere una nomination agli Oscar come miglior regista.
Un primato di cui andava fiera ma senza eccedere in entusiasmi poiché appunto non pensava che non fossero i premi o le statuette che cambiano il destino di un’artista.
La regista puntava alle belle opere in cui narrava la sua visione degli uomini e delle donne. Nel suo film “Travolti da un insolito destino nell’azzuro mare d’agosto” fu oggeto di aspre polemiche.
“Sono stata molto criticata per quegli schiaffoni, ma il film era più incentrato sul contesto politico, sulla divisione dell’Italia tra Nord e Sud, tra i ricchi e i poveri. Non mi interessava parlare del femminismo”.
La Wertmüller aveva dunque un’idea diversa del femminismo. “Non ho mai capito bene cosa significhi. Io mi sono sempre fatta rispettare, e quindi ho sempre voluto che lo fossero tutte le donne. Sì, forse un po’ lo sono. Non si può fare questo lavoro perché si è uomo o perché si è donna. Lo si fa perché si ha talento. Questa è l’unica cosa che conta per me e dovrebbe essere l’unico parametro con cui valutare a chi assegnare la regia di un film. Come tutte ho avuto i miei problemi a farmi accettare ma me ne sono infischiata. Sono andata dritta per la mia strada, scegliendo sempre di fare quello che mi piaceva”.